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 2014  luglio 23 Mercoledì calendario

CINQUE MILIARDI DI SOLDI PUBBLICI PER SVENDERE ALITALIA A ETIHAD

La vicenda Alitalia si complica e le ultime mosse di Francesco Caio rischiano di far saltare il matrimonio con Etihad. Il numero uno di Poste rischia di essere vittima di uno schema duplicato dal 2008, tanto intricato, quanto oneroso per il contribuente: da old company a new company. Un passaggio che ripulisce la compagnia di debiti e passività, con lo Stato che si accolla, in tutto o in parte, i sacrifici, e con forme sempre diverse.
Le pressioni su Caio sono forti: deve versare altri 40 milioni di euro (oltre ai 75 già messi a dicembre) nell’aumento di capitale chiesto ai soci italiani, cioè le banche (Unicredit e Intesa in testa). Solo che l’ad di Poste s’è impuntato: invece che in Cai, vuole metterli nella new Alitalia, la parte sana – ripulita da debiti, contenziosi ed esuberi – dove confluiranno gli slot, gli 11.036 dipendenti e gli aeromobili. Così gli azionisti sarebbero tre: la vecchia Cai (46%); Poste (5) e Etihad (49). Ieri, il cda di Poste ha confermato la linea Caio, incassando il commento gelido dell’ad di Unicredit Federico Ghizzoni: “Noi banche abbiamo fatto quel che ci hanno chiesto. Il nostro compito è finito”. Il rischio che salti tutto è forte, perché gli istituti di credito non vogliono un trattamento di favore per l’azionista pubblico. Come spiega chi sta seguendo le trattative, le condizioni del regalo a Etihad non possono cambiare: “Nessuno qui pensa che gli arabi vogliano risanare la compagnia, ma solo mangiarsi la parte che ha ancora un valore a prezzi di saldo. Così Poste complica tutto”.
Il nuovo assetto a tre, peraltro, metterebbe in discussione il principio Ue che obbliga i soci italiani ad avere almeno il 51% della nuova Alitalia, pena la perdita dei diritti di vettore europeo. Anche così, Etihad manterrà un controllo di fatto – con il 49% – attraverso un drenaggio degli asset strategici, secondo uno schema già sperimentato dalla compagnia degli Emirati Arabi in altre acquisizioni. L’ultimo ostacolo è Bruxelles – direzioni Trasporti e Concorrenza – dove, una volta chiuso, verrà inviato l’accordo per avere il via libera.
QUANTO CI COSTA IL SALVATAGGIO
L’opposizione di Caio ha un obiettivo: evitare che dalle casse pubbliche (Poste è interamente controllata dal Tesoro) escano 100 milioni di euro sulla base di vaghe “sinergie industriali”. Tenta, insomma, di rendere redditizio l’investimento garantito dal suo predecessore, Massimo Sarmi, al governo Letta, in cambio di una riconferma, mai ottenuta. Il “voltafaccia”, descritto senza molti convenevoli negli ambienti del mondo bancario, ha anche una sua logica interna. Poste è in fibrillazione perché si dovrà accollare anche una parte degli esuberi: tutti gli addetti ai servizi informatici di Alitalia (circa 85 unità), ma la Cisl, che in Poste ha l’ultima parola su tutto, è contraria.
Anche questa volta sui contribuenti peserà il capitolo esuberi: 954 (sui 2.251 totali) dipendenti in mobilità di Alitalia sperimenteranno l’inedito contratto di ricollocamento. Avranno cioè un assegno di mobilità pari all’80% dello stipendio per quattro anni e l’obbligo di frequentare un corso di formazione della Regione. Altri 681 saranno ricollocati in aziende del gruppo, ma – spiegano fonti sindacali – non c’è ancora nessuna garanzia reale; 250 tra piloti e assistenti avranno invece un contratto di solidarietà, con sgravi contributivi coperti dal Fondo per l’occupazione, rifinanziato con 15 milioni di euro. Ma la lista è lunga: ci sono altri 128 milioni di risparmi sul costo del lavoro previsti dal piano industriale di febbraio, coperti in questi mesi con Cassa integrazione a rotazione per il personale di terra e solidarietà per quello di volo. Poi c’è il pregresso dell’operazione dei “capitani coraggiosi”. Dal 2008 a oggi un miliardo è finito nelle casse dell’Inps per coprire gli ammortizzatori - garantiti ancora a 3.800 unità - per sette anni ai 7 mila esuberi creati dal passaggio dalla vecchia Alitalia alla Cai. Un altro miliardo è arrivato dal fondo per il trasporto aereo con una tassa di 3 euro a biglietto prevista da un decreto del governo Letta e la proroga degli esuberi fino al 2015, potrebbe non essere stata l’ultima. C’è poi il lato aziendale: oltre ai tre miliardi di debiti maturati durante il disastro della gestione pubblica, e confluiti nelle prima bad company, l’Enav, la società che controlla e gestisce il traffico aereo (che è pubblica) ha oliato le trattative con uno sconto di 60 milioni di euro alle compagnie di volo. Dulcis in fundo, la lenta agonia di Malpensa nonostante un miliardo di investimenti pubblici in 15 anni. In tutto sono oltre cinque miliardi di euro di soldi pubblici.
IL VIZIO DI ETIHAD E L’INCOGNITA UE
L’altra faccia del salasso pubblico è lo spolpamento definitivo dell’ex compagnia di bandiera. Etihad si prende a prezzi di saldo i preziosissimi slot Alitalia all’aeroporto di Londra Heatrow, totalmente saturo dove si può volare solo pagando a peso d’oro i diritti di decollo e atterraggio. Un vecchio lascito dello Stato alla sua compagnia di bandiera viene svenduto ora allo stesso prezzo (60 milioni) a cui erano stati venduti 3 slot nel novembre 2012. Alitalia sarà poi costretta a pagare a Etihad l’affitto degli stessi slot. Con circa 100 milioni, invece, gli arabi si prendono la maggioranza del ramo Mille Miglia (valeva 150 milioni nel 2013), il programma a punti per i biglietti premio, compresa la banca dati: una miniera di informazioni sui clienti con un valore enorme ai fini del marketing. Così facendo, la compagnia di Abu Dhabi resta sotto il 49% pur avendo il controllo di fatto del gruppo. Uno schema collaudato. Etihad ha fatto la stessa cosa con Air Berlin (di cui possiede il 29,2%), dove è stata costretta a continue iniezioni di liquidità sottoscrivendo obbligazioni e acquistando gli asset strategici. Oggi, se la compagnia tedesca vuole regalare biglietti premio, li deve comprare dagli arabi, che per 184 milioni di euro si sono presi Topbonus, l’equivalente delle Mille Miglia, nonostante Air Berlin ne sconsigliasse la vendita. Il matrimonio con Alitalia consentirebbe a Etihad di godere dei suoi diritti di volo in tutta Europa e verso Paesi terzi, ma la rapidità dell’operazione preoccupa le autorità europee che vogliono capire chi di fatto controllerà la compagnia italiana. Non è un problema secondario. Negli ultimi anni l’India ha sollevato obiezioni al diritto di Swiss di volare in India nelle vesti di vettore svizzero. Una rappresaglia. Lufthansa non voleva che Air India entrasse nell’alleanza Star Alliance. Per ripicca le autorità indiane, non potendo o non volendo agire direttamente verso la Germania, hanno messo un bastone fra le ruote alla controllata svizzera. È un esempio di un problema imprevedibile, che potrebbe sorgere per Alitalia, oggi o fra anni, se qualcuno volesse colpire Etihad o gli Emirati Arabi.
Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 23/7/2014