Maria Luisa Colledani, Il Sole 24 Ore 23/7/2014, 23 luglio 2014
PER NIBALI SCATTO D’AFFARI GRAZIE AL TOUR DE FRANCE
Di grande il Tour de France ha tutto, non solo il nome, Grande Boucle, che ricorda come, agli albori, i ciclisti-pionieri percorressero il perimetro della Francia come un ricciolo per arrivare al cuore, Parigi.
Considerato il terzo evento sportivo più importante sul pianeta, dopo Mondiali di calcio e Olimpiadi estive, il Tour arriva in 200 Paesi con un bacino stimato di telespettatori di 3 miliardi di persone. E il budget che corre dietro (o davanti, a seconda dei punti di vista) la carovana gialla è altrettanto grande: secondo gli organizzatori, l’edizione 101 vanta fra sponsor e diritti tv 150 milioni di ricavi (erano 130 nel 2009, e per avere un ordine di idee il fatturato della Juve campione d’Italia supera i 280 milioni), lievitato nel 2014 soprattutto grazie alla partenza dal Regno Unito (lo Yorkshire ha investito 10 milioni di sterline per un ritorno di 100 milioni). E i compensi per chi vince sono proporzionali: trionfare a Parigi vale 450mila euro (divisi con compagni, meccanici, tecnici, massaggiatori, autisti); vincere una tappa 8mila euro.
Nonostante la crisi economica e l’immagine offuscata dal doping, il ciclismo non si ferma: i marchi in cerca di visibilità sanno che il Tour è una macchina perfetta, un moltiplicatore pubblicitario affidabile, un grande circo che abbaglia i tifosi lungo il percorso e in tv. E lo sanno anche i ciclisti che considerato le strade di Francia le più nobili. Per questo Vincenzo Nibali ha scelto di concentrarsi sul Tour. Ha vinto a Sheffield e ha conquistato la maglia gialla; poi Chris Froome e Alberto Contador, i due avversari più temibili, si sono fermati, e lui ancora a macinare chilometri, tattica e vittorie: ha fatto il fenomeno sul pavé della Roubaix e lo show a Chamrousse, sulle Alpi, vincendo in salita con la maglia gialla addosso, cosa che, l’ultima volta, era successa a un certo Fausto Coppi, nel 1952, sul Puy de Dôme.
I francesi lo hanno adottato con quel Nibalì che sa tanto di Coppì e Bartalì, lo hanno celebrato sulla copertina del quotidiano L’Equipe come un atleta "dantesque", salvo poi attaccarlo perché Nibali ha debuttato nella Fassa Bortolo di Dario Frigo e corre per la Astana, la squadra del boss Vinokourov (Operación Puerto e positività al Tour 2007), del ds Martinello (vicinissimo a Pantani), del gregario Scarponi (18 mesi di stop per legami con il dottor Fuentes) e del professor De Maeseneer, già medico di Bjarne Riis (al Tour 1996 aveva un ematocrito al 60%). Lo Squalo dello Stretto, con la serenità e l’autorevolezza dei forti, ha risposto pacatamente alle allusioni dei francesi (che lo amano e lo invidiano, altrimenti che francesi sarebbero...), va dritto per la sua strada e comincia a pensare agli Champs Élysées.
A parte le parole del messinese, dalla sua parte non vanno dimenticati alcuni fatti: non è mai entrato in alcuna inchiesta né giudiziaria né sportiva per doping, è al suo 11° grande giro dal 2008, fa più di 50 controlli all’anno, è cresciuto gradualmente con tante batoste per come sbagliava tempi e modi degli attacchi. Prima, nel 2010, al Giro, cede il passo al capitano Ivan Basso, poi conquista la Vuelta; nel 2011 è secondo al Giro; nel 2012 terzo al Tour e nel 2013 conquista il Giro, il secondo posto alla Vuelta e il quarto al Mondiale.
Con la sua crescita sono lievitati anche i compensi: oggi è, con Contador, uno dei ciclisti che guadagnano di più al mondo. Corre per la Astana, la squadra-Stato del Kazakistan, che col ciclismo non vuole fare il vaso di coccio fra vasi di ferro (Russia e Cina) e che usa le bici come motore pubblicitario in vista di Expo 2017. Così, ha investito una cifra intorno ai 18 milioni per costruire una squadra da Tour, ha scommesso su Nibali tanto da avergli rinnovato, dopo il Giro 2013, il contratto fino al 2016 per quasi 4 milioni a stagione. Che ne sarà di questa cifra se Nibali porterà la maglia gialla fino a Parigi? Lo scorso anno, L’Equipe aveva calcolato che Froome, prima del Tour, guadagnava 1,2 milioni e che, dopo, i suoi introiti annuali, soprattutto grazie a nuovi sponsor, erano decuplicati.
Nibali, per ora, pensa a correre perché, come ha detto dopo l’Izoard, «Sembra tutto facile solo perché vado forte ma al Tour non è mai una passeggiata». Lui, che senza fare lo sbruffone si è paragonato a Leonardo perché «vinco con testa e fantasia», ha ancora davanti 607 km per arrivare a Parigi e alla storia. Quella di poter mettere in bacheca le tre grandi corse a tappe, Tour, Giro e Vuelta, come Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinault e Contador. Bonne route, Monsieur Nibalì (e che sia gloria vera e pulita).
Maria Luisa Colledani, Il Sole 24 Ore 23/7/2014