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 2014  luglio 23 Mercoledì calendario

SHOPPING CINESE IN ITALIA, ORA TOCCA ALLE RETI DELL’ENERGIA

L’ultima volta che fu scelta l’immagine mitologica della fenice, l’uccello che rinasce dalle sue ceneri, andò malissimo. Era il 2008, e a spiccare il volo doveva essere l’Alitalia dei capitani coraggiosi. I capitani erano molti, i capitali pochi, il progetto confuso, la finalità chiara ma perdente: garantire ad ogni costo la proprietà italiana della compagnia. Con sprezzo verso la scaramanzia, a settembre l’Araba fenice simboleggerà la rinascita di Krizia, la maison di moda comprata quest’anno da una ricca designer di Schenzhen, Zhu ChongYun, 2,6 miliardi di fatturato, cinquemila dipendenti in giro per il mondo e la voglia - così ha promesso - di puntare sul Made in Italy. Nell’Europa in crisi di idee e risorse non c’è spazio per la nostalgia né per le mosse difensive. I tempi in cui il centrodestra al potere teorizzava le barriere doganali sono lontani anni luce. Dopo anni in fondo alle classifiche, l’Italia oggi è meta privilegiata degli investimenti cinesi. Non più e non solo nelle costruzioni, la moda, la nautica o l’arredamento. È il momento delle grandi aziende di Stato nei settori che una volta si definivano «strategici». Dopo l’ingresso del fondo sovrano in Eni ed Enel, l’acquisto del 40 per cento di Ansaldo Breda, benedetto da Renzi nel suo recente viaggio in Cina, ora la Cassa depositi e prestiti è vicina alla cessione del 35 per cento di Cdp reti - la società che controlla la maggioranza delle reti energetiche - a State Grid of China.
Né i vertici di Cassa depositi e prestiti, né tantomeno il Tesoro confermano l’indiscrezione lanciata ieri da Reuters. Eppure il caso vuole che oggi stesso a Pechino siano attesi per una due giorni di incontri ufficiali il ministro Padoan e i vertici della società pubblica, Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini. I cinesi hanno scelto anche l’advisor dell’operazione, che sarà Morgan Stanley. La si può definire una privatizzazione indiretta: Cdp, società a controllo statale ma partecipata dalle fondazioni bancarie, ha costituito Cdp reti, la quale a sua volta controlla il 30 per cento di Snam (la società che gestisce la rete del gas) e - a breve - acquisirà la quota di controllo di Terna, la proprietaria della rete elettrica. Nei piani di Cdp c’era da tempo la cessione di una quota fino al 49 per cento della controllata delle reti a diversi investitori istituzionali - se possibile italiani - ma l’unico grande investitore che si è fatto avanti oltre a quello cinese è stato il fondo australiano Industry Funds Management.
Se c’è una circostanza a noi vicina che simboleggia la forza dell’economia cinese nel panorama geopolitico è questa. Mentre gli Stati Uniti si concentrano sugli investimenti interni e sulla autonomia energetica con lo sviluppo dello shale gas, mentre l’Europa a trazione tedesca indugia nel costruire le condizioni per un piano di investimenti europei, il governo di Pechino fa shopping in giro per il mondo. La scorsa settimana il premier Xi Jinping è volato in Brasile per il vertice dei Brics, dove ha firmato l’accordo con gli altri partner del Brics (Brasile, India, Cina e Sudafrica) per la creazione di una Banca di sviluppo con 50 miliardi di capitale che si contrapporrà a Banca mondiale e Fondo monetario. In Argentina, dove combattono per evitare il default, Xi ha firmato accordi per 7,5 miliardi di dollari e promesso il rafforzamento delle riserve valutarie con uno swap yuan-peso da 11mila miliardi.
L’investimento nelle reti italiane segna la fine di quella che fino a qualche anno fa era la naturale diffidenza dei cinesi verso gli investimenti nelle aziende italiane. Il primo acquisto importante, nel 2008, fu quello per l’acquisto della Cifa, marchio noto nel settore dei macchinari per il calcestruzzo. Ma a parte l’apertura di alcuni centri di ricerca fra Torino e Milano, per registrare l’acquisizione di un altro importante marchio occorrerà attendere quattro anni: prima gli yacht di Ferretti, l’anno scorso Berloni e Krizia. Ora è il momento delle aziende statali. La zona d’ombra della Cina in Italia è negli investimenti che fanno e non pubblicizzano: nessuno possiede ancora una mappa precisa dei loro interessi.
Twitter @alexbarbera