Claudio Siniscalchi, Libero 23/7/201, 23 luglio 2014
MA PASOLINI NON VEDEVA IL SUO «VANGELO» COME UN’OPERA CRISTIANA
Alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII. Con queste parole si apre Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. È il 1964. Il Concilio Vaticano II sta per chiudersi, in un tripudio di speranze. Finalmente la Chiesa di Roma è in prossimità di far pace con la modernità. Il vento sta cambiando. Pasolini fiuta la direzione in cui spira. La religione è la chiave di lettura della contemporaneità. E lui osa. Prende il Vangelo di Matteo. Lo mette in scena, così com’è: nasce così un’opera chiave del cinema moderno europeo. Uno dei film più discussi realizzati nella seconda metà del ‘900. A cinquant’anni dalla prima programmazione veneziana L’osservatore romano ieri, come ha raccontato su queste pagine Alessandro Gnocchi ne ha tesso l’elogio: «Il miglior film realizzato sulla vita di Cristo». «Il prodotto quasi di un credente». Ma siamo sicuri?Su L’osservatore il gesuita canadese Lloyd Baugh dice che quello di Pasolini è il film meglio riuscito sulla vita di Gesù, opera di un poeta «nostalgico del sacro». Per l’intellettuale «cattolicamente corretto» (leggasi cattolico di sinistra) in fatto di cinema Il Vangelo secondo Matteo è il «film ideale». Ma l’amore gli fa chiudere gli occhi su troppe cose.
Pasolini, ad esempio, non ha mai avuto una chiara comprensione del sacro. Ha inseguito letture audaci, ossessioni e convincimenti sempre più difficili da contenere e visualizzare. Egli vedeva nell’inarrestabile affermazione della società dei consumi il declino del sacro. Ma la Chiesa non era esente da colpe. «Mi basta prendere in mano il Vangelo per poter condannare, senza possibilità di dubbi e senza eccezioni, quell’istituzione fredda, arida, corrotta, ignorante, che è, oggi, la Chiesa cattolica» scriveva nel 1961. Quanto a credere in Dio, Pasolini aveva le idee chiare: «Non credo alla divinità del Cristo perché la mia visione del mondo è religiosa, improntata ad una religione mutila perché non ha nessuna delle caratteristiche esteriori della religione» (1968). Bah! E a quanti avevano interpretato in un’ottica cristiana il suo Vangelo rispondeva: «Taluni hanno visto in questo film l’opera di un militante cristiano, il che mi risulta del tutto incomprensibile. Sebbene la mia visione del mondo sia religiosa, non credo alla divinità di Cristo / questa mia ricostruzione non è per niente conforme all’immagine tradizionale che se ne fa la maggior parte dei cristiani. Ho fatto un film in cui si esprime, attraverso un personaggio, l’intera mia nostalgia del mitico, dell’epico e del sacro» (1969).
Comunque, dopo il vangelo e dopo Teorema del 1968, in cui scopriva il lato tragico (da tragedia sessuale) della società, Pasolini si dimenticò della religione. E approdò alla «religione della carne», sino al mostruoso Salò (1975), omaggio al marchese De Sade, maestro indiscusso della lotta dei libertini contro i santi. A quando la rivalutazione di Salò da parte dell’intellettuale «cattolicamente corretto»? Magari sulle pagine de L’osservatore romano.