Flavio Pompetti, Il Messaggero 23/7/201, 23 luglio 2014
IL ROBOT CON LO STETOSCOPIO
LA TECNOLOGIA
NEW YORK Infaticabili e pazienti, onesti e affidabili, gli infermieri di ultima generazione stanno imparando di giorno in giorno ad assolvere nuove funzioni per la cura dei malati ai quali sono affidati. Eppure nonostante i progressi, qualcuno li giudica ancora un po’ freddini nel rapporto umano, e un po’ pesanti nel tocco professionale. Ma in fondo cosa ci si può aspettare di più da un robot elettronico?
Ci si può aspettare molto invece, al punto che alcuni analisti del servizio sanitario hanno azzardato l’ipotesi che con il tempo (dieci anni secondo Rosalind Picard del MIT di Boston) i robot saranno in grado di sostituire i paramedici, e in un tempo più lungo gli stessi dottori. In tutto il mondo il settore della sanità è uno dei segmenti dell’economia che cresce più rapidamente, affiancato da una generazione crescente di anziani. La carenza di personale paramedico che li assista è critica, e l’idea che il loro posto possa essere preso almeno in parte dalle macchine, è allettante per molti servizi sanitari nazionali.
L’ESPERIMENTO
I primi ad averlo capito, e ad avere puntato abbondanti risorse per la creazione di robo-infermieri, sono i giapponesi. Il governo di Tokio finanzia due terzi delle spese di ricerca per i robot-infermieri, nella quale sono impegnate 24 grandi aziende nazionali tra cui la Toyota. Ed è dal laboratorio giapponese della Kokoro che nel 2003 è uscito Actroid, il modello che più si avvicina alle sembianze umane, e che da un anno ormai siede al fianco del letto di alcuni pazienti d’ospedale, in un esperimento condotto dal ministero della Sanità di Tokio. Il silicone che ricopre la testa e le mani degli automi simula la pelle umana nei minimi dettagli, mentre parrucca e abiti perfezionano la finzione. Actroid può seguire la direzione degli occhi della persona alla quale siede accanto e cercare di puntargli gli occhi addosso. Può decodificare la sua voce e rispondere, tramite il computer che ospita al suo interno. Non si muove e non svolge funzioni mediche, ma la sua presenza è conforto per i malati costretti ad una lunga degenza. Actroid è il tentativo più evidente di sostituire la figura di un infermiere con una macchina.
PILLOLE E PRESSIONE
Diverso è l’approccio negli Usa, dove la ricerca va invece nella direzione di creare macchine che aiutino i paramedici invece di sostituirli. In alcuni ospedali ci sono già robot che misurano la pressione, dispensano pillole e prelevano il sangue. La HStar Technologies di Cambidge ha già in catalogo Serbot, che spinge un paziente sulla carrozzella e monitorizza i suoi segni vitali. Il suo cugino Pearl ha uno schermo al posto del petto, sul quale può proiettare immagini e film, ma anche far comunicare il malato con infermieri e medici. Cody, sviluppato dalla Georgia Tech University può lavare e pulire un paziente nel suo letto. Sollevarlo e cambiarlo di posizione per mezzo di un robot sarebbe un vantaggio enorme in tempi di obesità crescente, ma occorre che la macchina pesi quattro volte più del paziente per ora la tecnologia è limitata.
Il consorzio europeo Mobiserv ha creato Kompai, un vero badante a transistor: detta gli esercizi di fitness, controlla la dieta del suo assistito, gli propone di chiamare amici e conoscenti, e si offre di sfogliare con lui o lei le foto di famiglia che custodisce nel chip della sua memoria. La macchina è ancora in uno stadio preliminare, ma non passerà molto tempo prima che Kompai o un suo simile vengano offerti su catalogo ad uso dei privati.
LA COMPAGNIA
Ancora più il là nei confini della medicina si spinge Cosmo Bot, l’automa giocattolo che riesce a rompere l’isolamento di alcuni bambini affetti da autismo e da ritardo mentale. Li invita a giocare, e tiene nota di tutti i progressi e di tutti gli ostacoli di ogni sessione terapeutica. Si dirà: «Sì, ma dov’è la sensibilità umana, la comunicazione intima tra paziente e malato?». Prima di giudicare bisogna però dare un occhiata a Paro, il cucciolo di foca che il suo creatore Takanori Shibata ha plasmato esagerando i tratti facciali, come in un manga giapponese. Il suo pelo è bianco e morbido. Paro memorizza il suo nome e quello del paziente, spesso malato di Alzheimer, e associa le carezze a una reazione di piacere, che esprime con gridolini. È un animale da compagnia perfetto: richiede pochi chilowatt l’anno e nessuna manutenzione. Quello che gli manca in tecnologia viene sostituito dalla fantasia dei pazienti che se ne innamorano a vista. Anziani il cui cervello comincia a perdere colpi, e che sono più che felici di perdersi nella finzione di aver trovato il compagno ideale per la progressiva solitudine alla quale sono condannati.