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 2014  luglio 23 Mercoledì calendario

PREMI LETTERARI MALATI DI PROVINCIALISMO

Valori. Non è male che si torni a parlare di valori e controvalori o valori contro, in relazione alla letteratura. Lo fa Alberto Casadei, in un libro che sta per uscire da Donzelli (Letteratura e controvalori pp.212, e 19,50), che mette in gioco questioni cruciali per provare a capire il presente e il futuro della letteratura. Tra questi, il rapporto con il mercato, il bilanciamento possibile tra connotazioni nazionali e globalizzazione, il concetto di realismo e le categorie di fiction, non-fiction e autofiction. Casadei, che insegna Letteratura italiana all’Università di Pisa, ha affrontato temi analoghi o limitrofi in saggi come Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo (2007) e Poetiche della creatività (2011), dove rivendicava l’urgenza, per la critica letteraria, di ampliare lo sguardo verso la scienza. Il nuovo studio si apre con un vasto capitolo sulle potenzialità del realismo, in cui si mette in discussione il concetto di «mimesis» espresso da un mostro sacro come Erich Auerbach, ma anche quello di «inesperienza» proposto per esempio da Antonio Scurati, che sembra azzerare la possibilità dell’esperienza autentica in un mondo in cui prevale il visivo. Perché? «Nel concetto di realismo artistico e letterario — dice Casadei — s’intrecciano aspetti molto diversi: sono realistiche opere che ci parlano di fatti storici o addirittura di cronaca, ma a loro modo lo sono anche il poema di Dante e la Metamorfosi di Kafka. Io credo che si debba distinguere tra un realismo «ristretto», delimitato dai parametri storico-culturali di ogni epoca, e uno «allargato», che permette di far confluire nell’opera persino elementi inconsci, intuizioni, percezioni del mondo non razionalizzate».
Ci sono varie gradazioni di realismo, che vanno da Tolstoj a Pynchon: l’invito è quello di forzare i suoi confini pur nella verosimiglianza? «In effetti, l’esperienza del mondo che ognuno di noi può fare è molto più ampia e multiforme di quanto non si pensi: e le opere d’arte ci consentono di dar conto appunto di questa multiformità. Per esempio Underworld di DeLillo ci mostra una realtà nella quale sono accaduti eventi difficilmente esperibili, ma che convivono con la quotidianità più banale».
Nel saggio di Casadei c’è un’altissima frequenza dell’aggettivo «cognitivo» a segnalare la necessità di un approccio che superi la vecchia idea di umanesimo, sia nell’interpretazione critica sia nel fare degli scrittori, e che tenga conto degli sviluppi delle neuroscienze. Si parla, per esempio, di «energia cognitiva dello stile». Che significa? «Nella concezione “allargata” di realismo, ma in generale in quella della creatività letteraria e artistica, risulta ormai fondamentale riconoscere l’azione della biologia e dell’inconscio cognitivo. Ogni artista cerca di manifestare un suo specifico rapporto con il mondo, ma solo chi realizza un suo stile diventa riconoscibile: la realtà rappresentata da Proust non è quella di Joyce proprio per i loro stili incommensurabili». Finora lo stile si misurava nello scarto rispetto a una norma codificata. Cosa che, tra l’altro, già in sé basterebbe a segnalare quanti romanzi salutati come capolavori sono invece appiattiti sullo standard comunicativo massmediale e mancano di quella personalità «stilistica» capace di esprimere una nuova conoscenza del mondo. Ora l’idea di «scarto» non vale più? «Lo stile costituisce una sorta di interfaccia tra interiorità e mondo esterno, ovvero un modo per riconfigurare le esperienze consce e inconsce che ognuno di noi condensa in sé. La sfida è quella di farci vedere la realtà spostando i confini tra il noto e l’ignoto: per questo possiamo accettare che esistano mondi assurdi e testi oscuri che però, attraverso il loro stile, ci costringono a prendere atto che ci sono aspetti del reale che non sospettavamo. Una poesia di Celan o un brano di Gadda o di Fenoglio riescono a veicolare questa energia stilistica e cognitiva».
Il fatto è che questi aspetti conoscitivi e stilistici insieme non sembrano avere nessun valore nell’epoca del web. A chi tocca riportare la letteratura al suo senso profondo? La critica sembra ormai ridotta a una pratica autoreferenziale per addetti ai lavori e quando viene ascoltata è perché asseconda i desideri del grande pubblico. «Proprio nel momento in cui i valori diventano “liquidi” è necessario che i critici facciano sentire quali sono le opere che ritengono più significative, appunto in quanto portatrici di visioni alternative a quelle sclerotizzate e semplificate. Nella scuola si debbono invece insegnare soprattutto i classici ma in modo nuovo, più aperto al dialogo con il presente, e insieme rimotivando la loro importanza che non è più scontata. Insomma, è forse il momento di ripensare la concezione umanistica della letteratura, cercando di creare un dialogo continuo fra i vari tipi di esperti (critici, docenti, lettori forti…) e le istituzioni come la scuola e l’università, che devono senza dubbio rinnovare i loro programmi e i loro metodi di insegnamento».
Potrebbero sembrare solo buone intenzioni se è vero, come afferma lo stesso Casadei, che in Italia, per esempio, manca un pubblico capace di sostenere le opere letterarie di valore, nuove o, per usare un aggettivo desueto, sperimentali in senso lato. Gli stessi editori sono sulla difensiva, perché osare significa perdere consenso e dunque far precipitare i bilanci, per di più in una fase economicamente complicata. «Il mercato ha le sue leggi, ma non potrebbe trascurare l’importanza di opere che sono sostenute da una comunità interpretativa qualificata ed esperta. In Italia, purtroppo, questa comunità non esiste: esistono tanti singoli interpreti, piccoli gruppi, ma occorrerebbero spazi di confronto ben più ampi e autorevoli. Solo così potranno essere sostenute le opere più complesse ma anche più ricche di implicazioni». Fatto sta che la critica pare che abbia un po’ rinunciato alla sua funzione o comunque non trovi più il linguaggio, il tono, lo slancio per comunicare le sue ragioni: «In ogni caso, non si può rinunciare sostenendo che tutte le opere si equivalgono. Proprio in questa fase è importante difendere i testi che possono corrispondere allo spirito di questi tempi. Per esempio, io credo sia importante che nelle scuole entrino stabilmente autori fondamentali anche per l’interpretazione dell’Italia del dopoguerra, come Vittorio Sereni o Beppe Fenoglio, che invece non si leggono quasi mai».
E gli scrittori d’oggi? «Credo che si possano discutere le opere vincitrici dei premi letterari nazionali, compresi quelli più piccoli ma di qualità, per verificare ogni anno quali opere hanno meritato davvero il successo. Per dire, quest’anno, allo Strega, direi che il vincitore autentico sarebbe il terzo classificato, Francesco Pecoraro. Al Campiello dello scorso anno, avrebbe dovuto vincere Magrelli con Geologia di un padre , finito invece al quinto posto. Se ne può discutere e soprattutto si possono proporre queste opere a platee più ampie, per esempio nelle scuole e nelle università, per sostenere il loro valore al di là del successo massmediatico».
Il libro di Casadei si conclude con una serie di «assiomi» che mettono a frutto le analisi proposte nei capitoli precedenti. Tra questi «assiomi» c’è l’invito a fare una gita a Seul, riprendendo provocatoriamente l’Arbasino che negli anni Sessanta esortava gli intellettuali italiani a superare il provincialismo spingendosi almeno fino a Chiasso. «Bisogna davvero cambiare prospettiva: molte delle nostre discussioni letterarie patriottiche sono davvero asfittiche e incapaci di guardare ai nuovi controvalori o “valori contro”…». È sempre il provincialismo il male italiano? Non ci sono caratteri peculiari che aprano verso prospettive davvero promettenti, fuori dai generi collaudati, ma anche dai post- e dai neo? Facciamo qualche nome? «Non vedo attualmente in Italia nuove linee dominanti. Comunque, bisogna prima di tutto mettersi d’accordo sulla qualità delle opere: e in questi ultimi anni sono usciti vari testi importanti di giovani scrittori, come Il tempo materiale di Giorgio Vasta o Elisabeth di Paolo Sortino. Poi ci sono alcuni autori che hanno raggiunto un consenso ormai stabile, per esempio Antonio Moresco o Walter Siti. Per capire meglio bisognerebbe però proporre un quadro organico e non fazioso: un obiettivo che purtroppo sembra del tutto in controtendenza rispetto alla prassi attuale nei blog».