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 2014  luglio 23 Mercoledì calendario

COSA CI HA INSEGNATO FUKUSHIMA

L’11 marzo del 2011, un terremoto di magnitudo 9 nell’Oceano Pacifico scatena un colossale tsunami sulla costa orientale del Giappone, causando 20 mila vittime e dispersi e spazzando via 130 mila case. I danni provocati alla centrale di Fukushima Dai-ichi e l’interruzione della rete elettrica contribuiscono a far assumere al disastro caratteristiche mai viste prima.
Oltre tre anni dopo la città di Fukushima e tutto il Giappone sono ancora impegnati in una faticosa ricostruzione. Una ricostruzione che non investe solo gli aspetti materiali, ma anche quelli sociali e comunicativi. È in questa linea che si inserisce il convegno organizzato dall’«International Atomic Energy Agency» dell’Onu in programma alla Fukushima Medical University dal 25 al 27 luglio.
L’incontro sarà dedicato ad analizzare implicazioni e lezioni che possiamo trarre da questa tragica vicenda insieme con ricercatori, medici e personale sanitario che hanno lavorato in prima linea nell’emergenza. Per cercare di sostenere un ritorno alla normalità nella zona colpita e per aiutare la comunità internazionale ad affrontare in futuro simili emergenze.
Il disastro di Fukushima, infatti, non ha segnato duramente solo la popolazione locale e l’economia giapponese, ma ha tracciato un solco profondo sul piano sociale e culturale. Tradizionalmente caratterizzato da un profondo rispetto dell’autorità e delle istituzioni, il Giappone ha scoperto nei mesi successivi al disastro ampie zone di sfiducia e sospetto tra i propri cittadini. Sono proliferati blog e siti che offrono informazioni e aggiornamenti indipendenti sulla situazione degli impianti nucleari danneggiati; hanno creato scalpore alcuni manga dedicati alla vicenda.
In occasione dell’anniversario del disastro, poi, 10 mila persone hanno manifestato contro la politica governativa in campo nucleare. Numerose critiche, anche a livello internazionale, sono state mosse ad una gestione della comunicazione lacunosa e reticente, soprattutto da parte dell’azienda responsabile degli impianti. Recentemente il quotidiano «Japan Times» ha rivelato che sia il governo sia l’azienda erano al corrente del fatto che in piena emergenza tutti i tecnici dell’impianto avrebbero abbandonato uno degli impianti, ritenendo la situazione fuori controllo.
Secondo un rapporto della Banca Mondiale, inoltre, solo il 20% dei cittadini avevano visto le mappe che indicavano le zone a rischio tsunami.
In generale, quindi, la portata eccezionale dell’evento avrebbe spiazzato modalità di previsione fino ad allora ritenute affidabili. La vicenda va tuttavia collocata in un cambiamento profondo nel rapporto tra cittadini, decisori politici ed esperti.
Se in passato la gestione delle situazioni di rischio ed emergenza avveniva al chiuso delle stanze, in cui politici e funzionari consultavano i propri esperti di fiducia, oggi, anche attraverso i media digitali, tutto avviene in un contesto fortemente permeabile dal punto di vista comunicativo, esposto ad una varietà di pareri esperti spesso dissonanti (o percepiti come tali). Questa trasformazione porta, da un lato, a incrinare la fiducia sul piano istituzionale e, dall’altro, ad alimentare le aspettative del pubblico nei confronti degli stessi esperti.
In Italia abbiamo toccato drammaticamente con mano questo aspetto in seguito al terremoto dell’Aquila e al processo che ha coinvolto alcuni membri della Commissione Grandi Rischi. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società, quattro italiani su 10 ritengono che anche in presenza di dubbi gli esperti in questione «avrebbero dovuto comunque mettere in guardia la popolazione», mentre sei su 10 che «un esperto dovrebbe sempre informare direttamente dei potenziali rischi la popolazione e non solo politici e funzionari».
I nuovi scenari sfidano quindi la stessa formazione professionale degli esperti, che sempre più richiede sensibilità e familiarità con le dinamiche dei media e grande disponibilità all’ascolto del pubblico. Ma richiedono al tempo stesso di investire per formare cittadini capaci di orientarsi in un panorama informativo sempre più articolato, soprattutto in simili situazioni di emergenza.