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 2014  luglio 23 Mercoledì calendario

PERES, TRISTE ADDIO TRA LE BOMBE PER IL GUERRIERO DELLA PACE

Sarà una cerimonia sottotono a segnare domani nel «Beit Ha-Nasì» il passaggio della presidenza di Israele da Shimon Peres a Reuven Rivlin. Lo Stato Ebraico combatte un conflitto aspro a Gaza contro Hamas, i suoi soldati caduti o feriti segnano l’intera popolazione e ciò spiega la comune decisione di Peres e Rivlin di scegliere per la circostanza un profilo basso, essenziale, richiamandosi allo stile dei padri fondatori, David Ben Gurion e Menachem Begin. Gli ultimi gesti di Peres come i primi di Rivlin, saranno visitare i soldati feriti all’ospedale Soroka di Beersheva. Ma questa atmosfera non deve trarre in inganno sull’entità dell’evento che si sta per consumare. La conclusione del settennato di Peres indica la fine della parabola pubblica dell’ultimo fondatore dello Stato come l’inizio del mandato di Rivlin catapulta sotto i riflettori un personaggio per molti aspetti agli antipodi.
Shimon Peres, nato nel 1923 come Szymon Perski in una cittadina della Polonia oggi in Bielorussia, è protagonista della parabola di Israele da quando nel 1947 David Ben Gurion lo sceglie come responsabile degli acquisti di armi dell’Haganà - da cui nascono l’anno seguente le forze armate israeliane - nominandolo nel 1953 direttore generale del ministero della Difesa. Peres ha 30 anni e in 36 mesi mette a segno il risultato che segna la vita dello Stato: la costruzione del reattore nucleare di Dimona, genesi dell’arsenale atomico. Nelle sue memorie Peres scrive «il mio contributo in quel drammatico periodo fu qualcosa di cui non posso ancora scrivere per ragioni di sicurezza, fu dopo la nomina di Moshe Dayan a ministro della Difesa che gli sottomisi una certa proposta, mirata a diventare un deterrente contro i Paesi arabi, affinché non ci attaccassero più». L’interlocutore è la Francia di De Gaulle, da cui il reattore viene acquistato trasformando Peres nel padre del programma atomico e della relativa politica che è lui stesso, nell’aprile 1963, a illustrate al presidente John F. Kennedy in un incontro nello Studio Ovale: «Israele non sarà la prima nazione, ma neanche la seconda, a introdurre armi nucleari in Medio Oriente». Due anni dopo il premier Levi Eshol trasforma queste parole nella politica nucleare dello Stato Ebraico basata su una voluta ambiguità, tesa a sconsigliare ai nemici confinanti di perseguire una nuova Shoà.
Nello stesso periodo, Peres crea dal nulla l’«Israel Aerospace Industries» assieme all’imprenditore americano Al Schwimmer dando inizio a un approccio all’industria bellica basato sulla produzione di armi aeree nazionali, al fine di rispondere alle particolari esigenze di sicurezza. Il primo velivolo è lo Tzukit, protagonista della Guerra dei Sei Giorni, così come le versioni di F-15 e F-16 modificate «Iai» continuano a garantire la superiorità nei cieli, inclusa la possibilità di attaccare il nucleare iraniano.
Il terzo risultato con cui Peres segna l’identità di Israele sono gli accordi di Oslo del 1993 con Yasser Arafat. Nelle vesti di ministro degli Esteri è lui che gestisce il negoziato segreto con l’Olp, spinge il premier Yitzhak Rabin a superare i dubbi e accompagna gli israeliani ad accettare la formula dei «due Stati per due popoli». Leader del partito laburista, allievo di Ben Gurion da cui ha appreso «mentire mai, osare sempre», più volte premier e ministro degli Esteri, Peres è tanto l’architetto del programma nucleare che della pace con i palestinesi. È lui stesso che, nel 1995, traccia un nesso fra i due risultati, rivolgendosi così ai leader arabi: «Il Medio Oriente è tutto in una frase, dateci la pace e rinunceremo a Dimona». La svolta di Oslo va ben oltre l’accordo con Arafat perché porta, nell’arco di 20 anni, la destra israeliana del Likud ad accettare - prima con Benjamin Netanyahu e poi con Ariel Sharon - la formula dei due Stati che aveva sempre respinto. La presidenza è solo l’ultimo tratto del percorso pubblico di Peres e si distingue non solo per l’impegno sullo sviluppo dell’hi-tech ma anche per la sovrapposizione con il governo Netanyahu. In apparenza in due leader sono avversari ma la realtà è più complessa: quando il 4 luglio del 1976 le forze speciali liberano 102 ostaggi nelle mani di un gruppo di terroristi a Entebbe, in Uganda, a ordinare il blitz è il ministro della Difesa Peres e dunque tocca a lui telefonare a Benzion Netanyahu per comunicargli la morte del figlio Yonatan, comandante del salvataggio. Una telefonata da cui nasce il legame stretto con i Netanyahu che continua con Benjamin, detto «Bibi», fratello di Yonatan. Ecco perché nel 1996, quando Peres viene beffato da «Bibi» nella corsa a premier, ne diventa consigliere informale. Ed ecco perché, nei sette anni di presidenza, Peres ogni venerdì ha ricevuto «Bibi», parlando da soli, anche per due ore, sulla sicurezza di Israele.

Le esternazioni di Peres hanno tuttavia creato spesso imbarazzo al premier, soprattutto per i disaccordi sui negoziati con i palestinesi, come avvenuto in occasione della recente mediazione Usa. Tali sovrapposizioni difficilmente si ripeteranno con Reuven Rivlin, un leader coriaceo del Likud contrario ai «due Stati per due popoli». Ma chi conosce Rivlin assicura che sarà comunque un «osso duro» per «Bibi»: non sulla politica estera, dove eviterà di mettere in difficoltà il premier discostandosi da Peres, ma su quella interna per via della volontà di rafforzare la democrazia israeliana aumentando i diritti delle minoranze come arabi, drusi, beduini, cristiani. Senza contare che Rivlin è fra i politici più invisi a Sara, l’imprevedibile First Lady che gli rimprovera di non averle dato lustro quando lui presiedeva la Knesset.