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 2014  luglio 23 Mercoledì calendario

LA PALUDE UMANA

La rinuncia di molte compagnie aeree internazionali a usare l’aeroporto di Tel Aviv dimostra che, la minaccia dei razzi artigianali di Hamas, è molto più grave di quanto si poteva inizialmente pensare. La minaccia è in grado di bloccare uno spazio vitale come lo scalo Ben Gurion. Tutto ciò costringerà Benjamin Netanyahu a proseguire la sua offensiva contro Hamas: ci saranno sicuramente ancora molti morti, che avranno un prezzo politico alto per il premier israeliano.
Hamas, abbandonata dal regime di Assad e dagli ayatollah iraniani dall’inizio delle rivoluzioni arabe, e detestata dal presidente egiziano Al Sisi, che ha bloccato la maggior parte dei tunnel che approvvigionavano la Striscia dall’Egitto, appare oggi come una struttura politica isolata e prossima al fallimento. Anche se il suo stock di armi è ancora importante, pur se non inesauribile.
Per sopravvivere, Hamas deve fare in modo che Israele non riesca a proclamarsi vincitore di questa ennesima guerra. Sta perciò costringendo l’esercito dello Stato ebraico a penetrare nelle paludi umane di Gaza, dove 1,8 milioni di abitanti affollano, sì e no, 360 chilometri quadrati. Per non scomparire Hamas può contare soltanto su importanti perdite tra i soldati israeliani e sulle strazianti immagini dei civili palestinesi uccisi.
Con l’entrata in scena di Abu Bakr al Baghdadi, il modello islamico della jihad è profondamente cambiato. L’obiettivo dello pseudo-califfo Ibrahim è infatti quello di rendere più “autonomi” gli esecutori materiali del terrore. Se Al Qaeda sceglieva i suoi bersagli e pagava i biglietti d’aereo ai suoi kamikaze, adesso tutto è mutato. Gli obiettivi da colpire, quantomeno in Occidente, sono tre: gli ebrei ma non le sinagoghe; i musulmani “apostati” che combattono indossando la divisa dei miscredenti; e le manifestazioni sportive. In alcuni casi, questo nuovo modus operandi è stato eseguito alla lettera. Basta vedere quanto è accaduto a Tolosa con Mohammed Merah, alla maratona di Boston con i fratelli Tsarnaev o, più recentemente, al Museo ebraico di Bruxelles. L’idea è di minimizzare i costi dell’offensiva terroristica pur suscitando reazioni di orrore in Europa e negli Stati Uniti, allo scopo di generare atti di islamofobia. I quali a loro volta provocheranno una solidarietà tra quei musulmani più carismatici e radicali, nella speranza di scatenare un giorno una guerra civile in Europa, come preludio della vittoria della jihad mondiale. Il teorico di questo sistema è un certo Abu Mussab al Suri, ex luogotenente di Bin Laden, autore della Chiamata alla resistenza islamica mondiale . Catturato dagli americani e da questi “consegnato” nelle mani della Siria, nel 2011 al Suri sarebbe stato liberato dal presidente Assad per inoculare la jihad in seno alla ribellione e per farla in questo modo implodere. La prima conseguenza del suo arrivo tra le file degli oppositori al regime di Damasco è stata la creazione dello Stato islamico in Iraq e nel Levante, che ha di fatto annientato la rivolta più moderata, permettendo ad Assad di presentarsi come il primo oppositore della barbarie islamica.
In questo contesto il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese è gravido di conseguenze, perfino nelle banlieue parigine. I figli di immigrati sono infatti molto più sensibili ai massacri di civili nella Striscia di Gaza che non alla creazione di un califfato in Iraq e Siria, diventando tutti potenziali jihadisti di terza generazione, sul modello preconizzato da Al Suri. Il repertorio per mobilitare le masse è rodato alla perfezione, e messo in atto nella speranza di innescare possibili incidenti. Senza contare che il ramadan è il mese sacro, in cui i musulmani si raccolgono nel fervore, e a Gaza c’è un popolo estenuato dal digiuno e dalla canicola, bersagliato dai bombardamenti. Il sentimento di identificazione e di esasperazione è, per questo motivo, altissimo. Altrettanto alto è il rischio che i giovani jihadisti europei formati in Siria, o i loro coetanei delle periferie francesi più degradate, possano attingere ispirazione da un humus ideologico così fertile.