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 2014  luglio 22 Martedì calendario

CELANT COPERTO D’ORO DIVENTA LA BARZELLETTA DEL MONDO DELL’ARTE


E il vincitore dell’asta dell’arte è: Germano Celant. Con la sontuosa e scandalosa parcella di 750mila euro ricevuta per la rassegna Arts&Foods, voluta per l’Expo 2015, è il curatore più pagato del mondo. Molti giornali italiani lo avevano già detto, con stupore, quando un paio di mesi fa fu reso noto il cospicuo incarico assegnato (senza concorso) al critico d’arte genovese. E in molti - il diretto interessato in primis, poi i vertici Expo, poi quelli della Triennale dove Celant fino a pochi anni fa è stato presidente del Comitato scientifico e dove il prossimo aprile sarà aperta la super mostra - hanno fatto finta che la cosa fosse normale, provando a sostenere, come ha fatto il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che la cifra sia «in linea con le condizioni generali del mercato». Ieri, però, proprio nel giorno in cui in Triennale è stato presentato il progetto Arts&Foods e si svelava il main sponsor della rassegna (cioè la Cassa depositi e prestiti, che coprirà la metà dei costi), il mensile inglese The Art Newspaper è uscito con il nuovo numero: in copertina, accanto al titolo «Curators’ fees are up for grabs», campeggiava una foto gigante di Germano Celant. Il vincitore dell’asta. E a corredo di un lungo articolo-inchiesta, una micidiale vignetta in cui un funzionario, spulciando le disponibilità finanziarie del Ministero, spiega a un collega esterrefatto: «Con il nostro attuale budget per la cultura possiamo o costruire un complesso museale o mettere insieme una collezione d’arte di valore mondiale. O assumere Germano Celant per cura una mostra». E poi dicono che a distruggere l’immagine dell’Italia all’estero siano i politici, invece degli intellettuali...
Invece gli intellettuali sono peggio. Pubblicamente giudicano sempre impresentabile il Paese, arretrato rispetto al resto del mondo, in mano alle mafie e alle lobby, dove lo spreco di denaro pubblico è pari alla cattiva gestione del patrimonio culturale... E in privato con i soldi dello Stato, elargiti attraverso i soliti canali politici, sono bravissimi a gestire il proprio patrimonio personale. E l’indignazione dell’opinione pubblica, a differenza degli incarichi, non è mai affare loro. Quando, un mese fa, alla presentazione della mostra su Mimmo Rotella a Palazzo Reale a Milano, un giornalista chiese conto a Celant delle polemiche in merito allo scandaloso compenso di 750mila euro per Arts&Foods, il critico-faraone, in giacca e mocassini sfondati di Prada, rispose sprezzante: «Per queste cose chiedete alla mia segretaria».
E alla sua segretaria andrebbe chiesto ragione non solo del mega compenso, ma anche della ingiustificata sperequazione rispetto a curatele ben più prestigiose. Quando si venne a conoscenza dell’incarico milionario, fuori da ogni logica commerciale, affidato al critico dell’Arte Povera, si fece notare come, a titolo di esempio, il direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze guadagni 1.890 euro al mese. E il curatore della Biennale di Venezia, la più importante esposizione d’arte contemporanea del pianeta, ne percepisca 120mila: è stato il cachet di Massimiliano Gioni per l’edizione 2013 e sarà il cachet di Okwui Enwezor per l’edizione 2015. Ma la rivista The Art Newspaper - che non può essere accusata di faziosità politica - va oltre, e dimostra come i compensi dei curatori di eventi di alto profilo come Venezia, Documenta e Gwangju, i più pagati del settore, siano lontanissimi da quelli di Celant. Per Venezia, il mensile riporta le stesse cifre della stampa italiana: tra i 120 e i 180mila euro. La Gwangju Biennale, in Corea del Sud, paga il curatore, per un lavoro di due anni, tra i 100 e i 150mila euro. E lo stipendio del direttore artistico di Documenta (che si tiene a Kassel con cadenza quinquennale, richiede tre anni di preparazione e che per l’edizione 2012 aveva un budget di 25 milioni di euro!) è equivalente a quello di un professore universitario di ruolo: circa 100mila euro all’anno. Con poche eccezioni, mette in luce la rivista, la maggior parte delle Biennali di medie dimensioni, nel mondo, paga l’equivalente dello stipendio annuo di un curatore di museo.
Ecco perché - al netto di tutte le spiegazioni di Expo, Triennale e del sindaco Pisapia (che cioè la mega-parcella è «coperta» dallo sponsor portato dal critico italiano e che nella cifra è compreso anche il lavoro di uno staff di 5-6 persone) il compenso di 750mila euro, più Iva, per 30 mesi di lavoro in Italia continua a suscitare polemiche e malumori. Mentre all’estero è già una barzelletta.