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 2014  luglio 22 Martedì calendario

NELLE VIE DI GAZA C’È IN GIOCO IL FUTURO DI ISRAELE


Nessuno degli esperti politici, storici, diplomatici, ideologici si sarebbe immaginato che la battaglia di Gaza - uno dei tanti scontri fra lo Stato di Israele e le varie formazioni armate palestinesi - si sarebbe trasformata in laboratorio delle possibili conseguenze dello scontro fra un’arma nuova e le armi vecchie della Prima e della Seconda guerra mondiale. Scontro che, come tutti i precedenti di questo tipo, potrebbe oltre che rompere l’equilibrio militare anche provocare il cambiamento dell’equilibrio politico internazionale con nuove guerre ma anche possibilità di nuovi accordi politici, giuridici e sociali.
La nuova arma difensiva è quella sviluppata da Israele. Si chiama Cupola d’Acciaio. Ha provato la sua efficienza proteggendo l’intero Paese da 11mila missili lanciati da Hamas in 13 giorni, e causando due sole perdite civili. Nessun Paese la possiede, in quanto la difesa missilistica delle grandi potenze ha puntato su razzi anti razzi a lunga portata, con lo spauracchio della bomba atomica transoceanica in testa. Il Patriot, sviluppato dagli americani che hanno largamente finanziato l’invenzione israeliana, è servito per missili a media portata, come quelli lanciati da Saddam Hussein su Tel Aviv.
La Cupola d’Acciaio ha questo di speciale: ha tre secondi - dico secondi - per agire su un razzo lanciato dal vicino di casa. Uno per identificare il missile, uno per avvertire la gente della zona che mira a colpire, uno per distruggerlo. La vecchia arma usata nella Prima e nella Seconda guerra mondiale è la fanteria - più o meno corazzata -, con il carro armato, l’aereo che non resistono al missile anche portatile. La strategia di Hamas nel corso degli ultimi vent’anni è stata di costruire città sotterranee con depositi blindati per i missili. Lo scopo dell’offensiva di terra israeliana è ora di identificarli e distruggerli. Lo scopo di Hamas è di attirare truppe in superficie a Gaza e di ucciderne il più possibile (ha già sorpreso una colonna israeliana facendo 13 morti e 20 feriti).
In gioco ci sono tre cose. Primo: la capacità di Israele di trovare questi bunker, anche a costo di spianare Gaza. Se non ci riuscisse Hamas avrebbe vinto, poco importano le perdite e le pene che infligge alla sua popolazione (fra l’altro impedisce a donne e bambini di rifugiarsi nei tunnel sotterranei, dovendo servire da scudo ai suoi soldati contro gli israeliani). L’accettazione da parte israeliana delle sue condizioni di tregua scuoterebbe il governo israeliano, dividerebbe la nazione, che vuole portare alla conclusione questa battaglia in cui Hamas l’ha intrappolato e probabilmente segnerebbe la fine politica di Netanyahu. Secondo: anche se annunciasse vittoria, una opposizione popolare a Hamas, una resa delle sue truppe di elite, la cattura o l’uccisione dei suoi governanti, o qualche avvenimento che diminuisca il potere del Comandante supremo Al Deif, rappresenterebbe uno scacco grave anche se non definitivo per questa organizzazione alimentata dall’Iran, una conferma dell’incapacità araba, non solo palestinese, di piegare Israele. Terzo, il «voltafaccia» politico di Obama. Il presidente americano da grande sostenitore della spinta diplomatica su Israele per la creazione di uno Stato palestinese (che gli eventi dimostrano sarebbe stata la fine di Israele, con la possibilità di Hamas di piazzare i suoi missili in Cisgiordania), si è trasformato, lui pacifista fautore del dialogo come solo mezzo per la soluzione dei conflitti, in sostenitore dell’azione militare di Israele, annunciando che lo Stato ebraico non ha solo il diritto a difendersi, ma di anche di combattere sino a quando i depositi di missili di Hamas non saranno individuati e distrutti.
La battaglia di Gaza continuerà come è continuata la battaglia d’Inghilterra contro i bombardamenti aerei tedeschi nel 1940. Netanyahu, grande ammiratore di Churchill, fa spesso riferimenti a lui nei suoi discorsi, incitando la popolazione a restare unita e a combattere sino alla totale distruzione di Hamas. Non è una esagerazione affermare che in questo momento gli occhi del mondo sono puntati su Gaza.
Se Israele vincesse, non sarebbe meno odiato di ora, specie dai media di sinistra e liberali. C’è una collusione troppo forte fra anti sionismo e anti semitismo, quello che Lenin chiamava il socialismo degli imbecilli. Se perdesse, in un mondo politico in cui le relazioni di forza non sono più fra Stati, ma fra Stati e non Stati - gruppi religiosi armati in nome di Dio, mafie, tribù etc - capaci ad esempio di sgominare con 500 uomini armati (di tank e di missili) un esercito come quello iracheno di un milione di soldati, giustificherebbe la capacità dell’Isis di metter la società occidentale, la società cristiana in particolare (in cui induce i membri alla scelta fra la conversione all’islam, il pagamento della tassa islamica per i «miscredenti» o il taglio della gola), alla sua mercé.
Si tratta di una minaccia per l’Occidente ben più grave del comunismo e dell’Urss e che ha per scopo dichiarato non solo Israele, l’America, ma anche la sede della Chiesa di Roma.