Luciano Capone, Libero 22/7/2014, 22 luglio 2014
PASOLINI L’APOSTOLO IL VANGELO SECONDO PIER PAOLO TROVA GERUSALEMME A MATERA
MATERA Dopo cinquant’anni torna a rivivere la Gerusalemme di Pier Paolo Pasolini. È tra i Sassi e le rocce della murgia materana che il regista friulano girò il suo Vangelo secondo Matteo ed è di nuovo lì che quell’opera cinematografica torna a vivere, grazie alla mostra Pasolini a Matera. Il Vangelo secondo Matteo cinquant’anni dopo esposta dal 21 luglio al 9 novembre a palazzo Lanfranchi.
La mostra ripercorre con foto, video, costumi, ritratti e narrazioni multimediali la genesi, la realizzazione e il contesto storico in cui venne realizzata quell’opera che scandalizzò parte della società italiana e divise la critica lungo linee diverse dalle classica contrapposizione cattolici/comunisti. La presentazione del film al festival del cinema di Venezia nel ‘64, in cui vinse il Leone d’argento, fu accompagnata dagli insulti dei manifestanti della destra, come era naturale attendersi in un’epoca in cui la persona Pasolini era scandalosa per gli ambienti conservatori della società italiana, ma ricevette anche un’accoglienza fredda di alcuni ambienti della critica comunista che vedevano l’opera come un allontanamento dall’ortodossia marxista e uno scivolamento verso «l’eresia» cattolica. Di contro il Vangelo pasoliniano raccolse molti apprezzamenti dagli ambienti cristiani vincendo il premio OCIC della critica cattolica, una decisione inaspettata se si considera che solo l’anno prima l’ateo, comunista ed omosessuale Pasolini era stato condannato a 4 mesi per aver «pubblicamente vilipeso la religione dello stato, rappresentando alcune scene dalla Passione di Cristo dileggiandone la figura e i valori» nel film La Ricotta.
Il Vangelo secondo Matteo segna un cambio di atteggiamento di Pasolini sia nei confronti del progressismo materialista marxista che nei confronti della religione cattolica, un’evoluzione (o un’involuzione) reazionaria che trova il suo epilogo ideale nella sua poesia-testamento Saluto e augurio, in cui rivolge ad un ideale giovane fascista l’esortazione «Difendi, conserva, prega!», una triade che Camillo Langone ha definito come il Manifesto della destra divina. Pasolini arriva all’ ideazione del Vangelo quasi per caso, è ospite ad Assisi della Pro Civitate Christiana, la comunità di don Giovanni Rossi, proprio nei giorni in cui papa Giovanni XXIII visita la città umbra.
Tutti corrono ad ascoltare il papa, mentre l’ateo Pasolini preferisce restare in camera ed è lì che prende in mano la Bibbia poggiata sul comodino e la inizia a sfogliare, partendo proprio dal Vangelo di Matteo. È quella la folgorazione che lo spinge a realizzare un film che aveva già in mente e a dedicarlo «alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII». La mostra racconta il rapporto di Pasolini con don Giovanni Rossi che l’incoraggia a visitare la Terra Santa per trovare l’ispirazione per il suo film, un viaggio che il regista farà accompagnato da un parroco e che da semplice sopralluogo per la ricerca degli scenari per il set si trasformerà in un pellegrinaggio. Pasolini ripercorre i luoghi della predicazione di Gesù Cristo, ma resta deluso da un territorio che vede trasformato dalla modernità e dall’industrializzazione, luoghi troppo diversi dai poveri villaggi descritti dalla Bibbia e persone, nelle zone israeliane, corrotte dalla modernità, quindi incapaci di rappresentare una storia antica. È nel viaggio in Palestina che Pasolini si rende conto che la Terrasanta più corrispondente al racconto dei Vangeli è l’Italia meridionale.
Nel suo nuovo pellegrinaggio nel sud Italia alla ricerca delle location per il film il regista vede la Galilea in alcune zone del Lazio, della Puglia e della Calabria e riconosce la Palestina nella Basilicata, con Barile che diventa Betlemme e Matera Gerusalemme. Sono le asprezze di un territorio inospitale, isolato e incontaminato a permettere non una ricostruzione dell’antichità, ma la reale rappresentazione di un’arcaicità ancora viva.
Pasolini infatti, come aveva già fatto per i suoi altri film, si affida ad attori non professionisti, ingaggia amici scrittori, sua madre nel ruolo di Maria, un giovane sindacalista spagnolo, Enrique Irazoqui, nei panni del Cristo e i contadini lucani con i volti cotti dal sole e segnati dalla fatica che rappresentano autenticamente un mondo di duemila anni prima. La scelta della Basilicata e di Matera non è casuale, ha anche un fondo di denuncia delle condizioni sociali della popolazione lucana. I problemi della Basilicata erano già stati portati all’attenzione nazionale da Carlo Levi, con Cristo si è fermato a Eboli, il romanzo sui suoi anni di confino in Lucania durante il fascismo in cui lo scrittore ha raccontato «una diversa civiltà, fuori dalla Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore». Nel dopoguerra la Basilicata è l’emblema dell’arretratezza economica e sociale, nel 1958 il sociologo americano Edward Banfield studia per quasi un anno sul campo la società lucana e conia il concetto di «familismo amorale» per indicare le cause culturali dell’aarretratezza. Matera nel dopoguerra è la città simbolo del sottosviluppo e i Sassi la «vergogna nazionale» per le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui vivono gli abitanti. Per il reazionario Pasolini, quei luoghi e quell’arretratezza rappresentano l’autenticità di una società non corrotta e inquinata dalla modernità borghese.
A distanza di cinquant’anni i Sassi sono stati riconosciuti come «patrimonio dell’umanità» e stanno tornando ad essere abitati e la città ha avuto un grande sviluppo turistico-culturale grazie ad un altro regista come Mel Gibson che quarant’anni dopo Pasolini l’ha scelta di nuovo come Gerusalemme per la sua Passione di Cristo. Ora Matera guarda al futuro proponendosi come Capitale europea della cultura per il 2019, non è più la città povera, arretrata e antimoderna amata da Pasolini e forse anche questo è un bene.