Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 22/7/2014, 22 luglio 2014
UN PERICOLOSO RETICOLO DI TUNNEL
«I razzi sono una minaccia del XX secolo a cui noi contrapponiamo una soluzione del XXI secolo. Ma i tunnel sono una minaccia del Medio Evo contro cui Israele non ha soluzioni». L’analisi di Michael Oren, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, riassume con efficacia le difficoltà in cui si sta imbattendo l’esercito di Israele nell’ultima offensiva contro Hamas.
Agli occhi di Gerusalemme i tunnel sono la minaccia più insidiosa, la meno prevedibile. Dall’inizio dell’invasione di terra, scattata il 17 luglio, Tsahal ne ha individuati già 14, serviti da 35 diverse entrate. Tutti costruiti in cemento, quindi resistenti. Molto più lunghi del solito, capaci di penetrare centinaia di metri in territorio israeliano. Più profondi, fino a 30 metri sotto terra, quindi non visibili dal cielo neppure con tecnologie all’avanguardia. E soprattutto nascosti all’interno di case civili, in mezzo alle sovraffollate aree urbane di Gaza.
Per distruggere la ragnatela dei tunnel che si estende nel sottosuolo della Striscia di Gaza l’invasione di terra è la sola, valida opzione. Negli ultimi giorni troppi miliziani palestinesi sono penetrati in territorio israeliano. L’ultimo incidente sabato, quando un commando armato è entrato in Israele, ha ucciso due soldati, ed è fuggito sempre dalla galleria da cui era apparso prima che fosse distrutta. Finora sono stati tutti intercettati, ma il timore, reale, è che prima o poi alcuni miliziani riescano ad entrare in Israele per poi sferrare un attacco contro i civili. L’episodio più eclatante era accaduto il 25 giugno del 2006, quando una cellula palestinese sbucata da una galleria rapì il caporale Gilad Shalit a ridosso della Striscia per portarlo a Gaza.
Hamas comprese presto che i tunnel erano un fattore strategico nella guerra contro Gerusalemme. Grazie a gallerie sempre più sofisticate riuscì più tardi a importare armi, munizioni e i componenti di quei razzi a lunga gittata che in queste settimane colpiscono il territorio israeliano da nord a sud. Ed è sempre attraverso queste strade sotterranee che ha inviato i suoi miliziani in Iran per ricevere addestramento militare ed ha ricevuto i consiglieri militari dei suoi alleati. Oggi il movimento islamico dispone di un’unità specializzata in tunnel e destina il 25% del budget a questa strategica attività.
La storia dei tunnel è recente. La svolta arrivò nel giugno del 2007, quando Hamas conquistò la Striscia di Gaza sbaragliando le forze di Fatah. Gerusalemme reagì con un embargo sul traffico di merci che transitava quotidianamente nella Striscia. Non poteva tollerare che un’organizzazione, il cui statuto prevede la distruzione di Israele, potesse agire indisturbata. Privata dei valichi israeliani, spesso senza elettricità e benzina, l’economia di Gaza annaspava. Si cominciò a scavare. Sempre di più. Nel 2007 i tunnel erano piccoli cunicoli, nascosti tra le macerie di Rafah, la città del contrabbando ai confini con l’Egitto. Nel volgere di un anno la metamorfosi fu travolgente. Nella tunnel city di Rafah il ventre della terra partoriva di tutto: anche mucche, cammelli, cavalli. Non c’era merce che non si potesse ordinare dall’Egitto: lavastoviglie, benzina, medicinali, Pc, viagra, automobili smantellate e poi riassemblate. E, al riparo da occhi indiscreti, armi, tante armi.
Con un indotto capace di generare 25mila lavoratori, e con un giro di affari che copriva il 95% dell’intero commercio della Striscia, la tunnel economy aveva ridato ossigeno a Gaza. Hamas comprese presto che i tunnel rappresentavano la valvola di sfogo per aggirare l’embargo israeliano e la chiusura del valico con l’Egitto. Ma anche per importare armi sofisticate. Con il suo noto pragmatismo, regolò l’industria dei tunnel ricavandone un grande vantaggio. Chi voleva aprire una galleria doveva fare regolare denuncia alla municipalità di Hamas, pagare una tassa di circa 2mila euro. Erano tempi d’oro, quando il movimento islamico poteva raccogliere in tasse sui beni contrabbandati e licenze per i tunnel quasi un milione di dollari al giorno. Un periodo che durò poco. Già nel 2010 il presidente egiziano Hosni Mubarak cercò di combattere i tunnel. Ma senza troppa convinzione. Nell’estate del 2013, la destituzione e poi l’arresto del presidente egiziano Mohammed Morsi, uno dei leader dei fratelli Musulmani, furono un colpo brutale per Hamas. La guerra personale tra l’Egitto dei militari, guidato dal generale al-Sisi, contro la Fratellanza musulmana, è stata estesa anche al suo maggiore alleato a Gaza. L’esercito prima ha riempito di gas i tunnel, poi li inondati con le acque reflue. Ma i tunnel risorgevano. Infine ha raso al suolo centinaia di case in modo da distruggere le entrate dei cunicoli. Nel marzo del 2014 dei quasi 2mila tunnel ai confini con l’Egitto ne erano rimasti una decina.
Hamas si è ora concentrato solo sull’attività militare. I tunnel non dovevano più sboccare nel Sinai, bensì in Israele. La nuova guerra si combatterà sottoterra.
Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 22/7/2014