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 2014  luglio 22 Martedì calendario

UN LIBRO SVELA I FALLIMENTI DEL PM CHE SPARA SUI POLITICI


Ha preso di mira il capo dello Stato ed è stato sostanzialmente ignorato, è vero: ma il tentativo del pm Nino Di Matteo di affrancarsi dall’irrilevanza in cui è finito il processo sulla «trattativa» non è sfuggito ai cultori dei paradossi. Difatti sabato scorso ha preso pubblicamente la parola, Di Matteo, proprio a margine della commemorazione della strage di via D’Amelio in cui fu ucciso Paolo Borsellino, strage che ha registrato uno dei più clamorosi fallimenti giudiziari del Dopoguerra e di cui è stato coprotagonista proprio lui, Di Matteo. Durante la commemorazione avrebbe potuto tentare di spiegare i propri abbagli come non fa mai ma ha preferito buttarla in politica e prendersela col governo e con il Colle. Intanto il teatrino surreale dell’antimafia procedeva come al solito. Il Fatto Quotidiano scriveva di «trattativa Stato-mafia che ha provocato la morte del giudice assassinato», a oggi invenzione. «Sappiamo che in molti sanno ma continuano a preferire il silenzio» ha tuonato Di Matteo alla folla, dimenticando i silenzi suoi. Intanto Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, abbracciava Massimo Ciancimino che aveva il braccio tatuato con la data del 19 luglio 1992, giorno della strage.
OPERAZIONE VERITÀ
Eppure, con tutta la buona volontà, un’inevitabile raffica di fuoco amico non è venuta a mancare: è infatti nelle librerie Dalla parte sbagliata, i depistaggi di via D’Amelio, volume della collega Dina Lauricella che intervista Rosalba di Gregorio, avvocato del falso pentito Vincenzo Scarantino. E questo è un libro importante: per la prima volta, per quanto ne sappiamo, giornalisti e magistrati del fronte antimafia fanno pubblica ammenda sul caso di Vincenzo Scarantino, appunto, il falso pentito che fece condannare vari innocenti per la strage di via D’Amelio. Tutti i processi già celebrati sino al 2010 Borsellino primo, Borsellino bis, Borsellino ter, vari appelli e cassazioni si sono infatti dimostrati spazzatura, un pattume avvalorato soltanto dalla testimonianza di un uomo che pure, per 17 anni, aveva disperatamente cercato di spiegare che di pattume si trattava e che, in carcere, c’erano degli innocenti condannati all’ergastolo: la Corte d’Appello di Catania infatti ha dovuto liberarli tutti nell’autunno 2010. Quest’uomo è appunto Scarantino col suo avvocato Rosalba di Gregorio, già legale di vari boss di Cosa Nostra (Bernardo Provenzano, Michele Greco, Vittorio Mangano) e perciò definita più volte «avvocato del diavolo» con intenzioni poco benevole. Nel libro, a intervistarla, è appunto Dina Lauricella, valente giornalista di Annozero e già autrice di notevoli reportage sul caso in questione; ci sono anche un paio di prefazioni notevoli, ci pare: una del magistrato Domenico Gozzo e un’altra del direttore del Fatto online Peter Gomez.
Diciamo subito che resta imbarazzante la maniera in cui anche il libro omette il più possibile il nome e il ruolo di Nino Di Matteo, attuale pm della «trattativa» che nel 1998 firmò l’atto d’accusa del Borsellino ter e quello del Borsellino bis, con ciò difendendo strenuamente proprio il depistaggio fatto da Scarantino e giudicando falsa la sua plurima ritrattazione. Nel libro, tuttavia, Di Matteo non viene intervistato: «Ha ritenuto opportuno non rilasciare alcuna intervista per rispetto al lavoro tuttora in corso a Caltanissetta», scrive Dina Lauricella. Ma nell’insieme compaiono cose che sino a poco tempo fa erano state tipicamente definite «macchina del fango» (Loris Mazzetti, il Fatto del 5 febbraio scorso) perché sostenute solo da una stampa poco empatica con certo fronte antimafia: Libero, Giornale, Foglio e Panorama. Ora Peter Gomez riconosce che stampa e magistrati andarono a farfalle per molti anni: «L’avvocato di Gregorio», si legge, «seminava dubbi fondati sull’inchiesta, su Scarantino e il processo. Ma poi la penna restava colpevolmente nel taschino... se solo fossi stato professionalmente più coscienzioso e non mi fossi fatto condizionare dalla campagna anti-magistrati scatenata intorno alla prima ritrattazione di Scarantino da Forza Italia e dalle reti Fininvest, per decidermi a lavorare approfonditamente su quel mistero. E invece di quella storia... non mi sono voluto occupare... È stupido negare che nelle carceri del 41 bis, per mesi e mesi subito dopo il sacrificio di Paolo Borsellino e della sua scorta, lo Stato di diritto sia stato spesso dimenticato... In carcere sono finiti i boss sbagliati. Il sacrosanto principio per cui si è colpevoli solo al di là di ogni ragionevole dubbio non è scattato». Così Peter Gomez, che probabilmente per questa sua resipiscenza potrebbe registrare qualche mugugno.
Ma poi ci sono le domande retoriche di Nico Gozzo, procuratore aggiunto a Caltanissetta e altro “prefatore” pesante. Domande come queste: «Dopo le sentenze già intervenute sul Borsellino quater, e senza discutere di prove, dobbiamo o no discutere di questa giustizia, di questa stampa, di questa società, che secondo me, negli anni Novanta, hanno, almeno in parte, fallito? Dobbiamo discutere di chi ha consegnato per 17 anni le chiavi della vita di sette persone innocenti per il reato di strage ad un falso pentito, Scarantino? Dobbiamo avere il coraggio di discutere di una regola, quella della frazionabilità delle dichiarazioni dei collaboranti, che forse andrebbe ripensata, perché consente a “collaboranti” scarsamente credibili in via generale di essere utilizzati per ciò che serve, aprendo il fianco a possibili strumentalizzazioni probatorie? Dobbiamo discutere del fatto che, pur con tutte le considerazioni contenute nelle passate tre sentenze sulla poca credibilità di Scarantino, il processo basato sulle sue dichiarazioni è arrivato sino all’ultimo grado, ed è stato approvato anche in Cassazione? Cosa non ha funzionato? Abbiamo il dovere di chiedercelo». Nico Gozzo in compenso fornisce anche qualche risposta: «Non ha funzionato la Polizia. Non ha funzionato la Magistratura. Non hanno funzionato i controlli, sia disciplinari sia penali. Non ha funzionato il Csm. Non ha funzionato la cosiddetta Dottrina. Ma, soprattutto, non ha funzionato la “libera Stampa”, che dovrebbe essere, e non lo è stata, il vero cane da guardia di una democrazia».
NIENTE DA DICHIARARE
Bene, e Di Matteo non ha davvero nulla da dire a riguardo? In ogni caso dovrà dirlo a processo: sarà ascoltato nel Borsellino quater assieme all’ex procuratore capo Giovanni Tinebra e al sostituto Anna Palma. Altri hanno già testimoniato, e tra questi Ilda Boccassini che non ha fatto sconti: «Se all’epoca la mia relazione fosse stata presa in considerazione, forse non saremmo a questo punto. Perplessità sulla caratura di Scarantino ne avemmo da subito... stava raccontando un sacco di fregnacce, ed era pericoloso... Il dominus dell’indagine resta sempre il pm, mai l’investigatore, e sono i pm che devono aver deciso di andare avanti con Scarantino». I pm. Cioè Di Matteo, che però intanto parla d’altro, e accusa il Colle.