Gaia Piccardi, Corriere della Sera 22/7/2014, 22 luglio 2014
GIMONDI INCORONA NIBALI: «CHE TALENTO, SEMBRA ME»
Il passaggio di consegne tra pioniere ed erede, domenica a Parigi, ahinoi non ci sarà. Felice Gimondi, 71 anni, indimenticato re del Tour ’65, è a casa, Bergamo, con il fuoco di Sant’Antonio. Felice, sì («Incredibile Nibali: da due settimane vivo attaccato alla tv»), e furibondo («Mi avevano invitato però non potrò esserci: troppi dolori»).
Gimondi, i Pirenei, da oggi, cambieranno la classifica?
«Non se ne parla: salvo clamorosi imprevisti, per gli altri non c’è più nulla da fare».
Dove l’ha vinto Nibali questo Tour?
«Sul pavé, quinta tappa. Ad Arenberg ha costruito il capolavoro. Sui Pirenei lo rifinirà».
Nibali potrebbe essere il terzo italiano a conquistare il Tour negli ultimi 50 anni.
«È cambiato il ciclismo. Ai miei tempi si correva diversamente: le tappe erano più aperte, si andava in fuga sulla penultima salita; oggi si lavora più per la squadra. Le bici sono più leggere, sono più potenti».
Si rivede nello Squalo?
«Ha caratteristiche diverse: è più leggero e più forte in salita. Io ero più bravo a cronometro. Ma in comune abbiamo il talento per le grandi corse a tappe».
Gimondi, Merckx, Anquetil, Hinault, Contador sono i soli vincitori di Giro, Tour e Vuelta.
«Auguro a Vincenzo di entrare nel nostro club: non sarebbe in cattiva compagnia...».
Anche lei non se la cavava malaccio sul pavé...
«Ci ho vinto la Roubaix ’66, che diamine!».
Primo tormentone: senza Froome e Contador il Tour vale meno?
«Ma non li ha mica buttati in terra Vincenzo! Se sono caduti sono cavoli loro. Merckx, quel diavolo, non cadeva mai!».
Osso duro, eh?
«Vinsi una Milano-Sanremo senza Eddy: aveva la bronchite. Vale meno, mi dissero: meglio primo senza Merckx che secondo dietro il Cannibale, risposi».
Secondo tormentone: i sospetti di doping.
«Io, fossi in Nibali, da qui a Parigi alla prossima domanda sul doping mi alzerei e me ne andrei. A che servono i test, allora? Il problema è dei perdenti, che non sanno più cosa inventarsi. Ma lui non si farà turbare».
Anche Nibali, come lei nel ’65, ha quasi sempre indossato la maillot jaune.
«Quello che conta è averla addosso a Parigi. Portarla tanti giorni ha più un effetto mediatico che altro».
Che idea si è fatto del siciliano?
«Corre bene, è attento, tranquillo, ha una squadra all’altezza: non vedo come possa perderlo, questo Tour magico».
Lo conosce personalmente?
«Venne a trovarmi a Bergamo dopo aver sbancato il Giro. In questi giorni avrei voluto chiamarlo per un saluto ma credo abbia cambiato numero di cellulare. E poi non vorrei disturbarlo...».
Appello a Nibali: risponda a Gimondi, sennò è lesa maestà...
«Alla fine, per capirci, basterebbe una pacca sulle spalle».
A quale grande campione somiglia?
«Difficile dirlo. Di certo ci lega un’altra analogia: al Giro di Toscana, da neoprofessionista con la Salvarani, feci schifo. Arrivò una letteraccia a tutti: se non vincete, niente stipendio. Più o meno come la mail che l’Astana ha mandato al team alla vigilia del Tour. Ebbene, quell’anno Adorni vinse il Giro e io il Tour. I bilanci si fanno alla fine».
Cosa si prova sul podio di Parigi?
«Impossibile da spiegare. Io mi ricordo come fosse ieri l’urlo degli italiani quando entrai al Parco dei Principi. Sia in Francia che in Belgio non eravamo trattati con i guanti, all’epoca. Ricordo l’orgoglio e il senso di riscatto».
È anche in questo sentimento che risiede la grandezza di aggiudicarsi la Grande Boucle?
«Certo. Nibali sta rilanciando il nostro movimento ma dico bravi anche a Trentin e De Marchi. Avrei piacere che Alessandro vincesse una tappa. Corridori con le palle, altro che storie! Il ciclismo italiano è vivo».
Pantani re del Tour ’98. Gioia e dolori. Nibali cancella il Pirata o nella grande anima del Tour c’è posto per tutti?
«Il ciclismo ha un cuore enorme. Imprese e ricordi non si possono cancellare. Quando mi chiedono di Pantani, io dico: Santuario di Oropa (Giro ’99 ndr), vi ricordate? Quello è il mio Marco».
Felice, una lacrimuccia domenica le scenderà?
«Io non mi emoziono mai più di tanto. Ma i ricordi non si dimenticano. Quelle sono le mie strade. Quello è il mio Tour».
Gaia Piccardi