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 2014  luglio 22 Martedì calendario

STORIA DELLA STRISCIA DI GAZA, TERRA DI TUTTI E DI NESSUNO

Ci vuole spiegare quando, come e chi decise la nascita della «Striscia di Gaza», che ha tutta l’aria di essere una polveriera, un corpo estraneo, oltre a un problema senza soluzione? Cosa si prefiggeva Sharon con l’applicazione, nell’agosto del 2005, del «piano di disimpegno unilaterale», che prevedeva l’abbandono di tutti gli insediamenti ebraici nella Striscia e di quattro nella Cisgiordania settentrionale?


Maura Bressani
maurabressani@hotmail.it

Cara Signora,
Qualche dato anzitutto. La Striscia è un tratto di terra che si affaccia sul Mediterraneo confinando a sudovest con l’Egitto e a sudest con Israele. Ha una frontiera terrestre di 75 km e una linea costiera di 40 km. La sua popolazione, calcolata nel 2014, ammonta a un milione e 816.379 persone con un’alta percentuale di giovani: 43,2% sotto i 14 anni, 20,6% fra i 15 e i 24 anni. Il 22,5 è disoccupato, il 38% vive al di sotto della linea di povertà. La sua economia è fortemente condizionata dal blocco israeliano delle sue frontiere terrestri e marittime, decretato all’epoca della seconda Intifada, iniziata nel 2000.
Sul piano politico e amministrativo ha la sfortuna d’essere stata lungamente una terra di tutti e di nessuno. È una provincia palestinese, ma la Palestina ha confini incerti, soggetti ai mutamenti delle circostanze storiche e politiche. In epoca ottomana apparteneva alla Grande Siria, una regione storica dai confini altrettanto incerti che comprendeva la Palestina sino al Giordano, la Siria attuale e buona parte del Libano. Durante la prima guerra arabo-israeliana fu occupata dall’Egitto e divenne sede per qualche tempo di un effimero governo palestinese. Nella guerra del 1956, scoppiata dopo la nazionalizzazione egiziana del Canale di Suez, fu occupata dagli israeliani insieme al Sinai, ma restituita all’Egitto grazie all’intervento dell’Onu e degli Stati Uniti. Tornò nelle mani di Israele durante la «guerra dei sei giorni» (1967) con una popolazione aumentata dall’arrivo di circa 200.000 rifugiati palestinesi. Cominciarono allora gli insediamenti coloniali israeliani; e fu questa verosimilmente la principale ragione per cui Israele, nel Trattato di pace con l’Egitto del 1979, restituì il Sinai, ma conservò il controllo di Gaza.
Nel 1994, dopo la prima Intifada e gli accordi di Oslo, Israele trasferì il governo di buona parte della Striscia alla nuova Autorità Palestinese, ma conservò le zone dove sorgevano gli insediamenti e quella parte del territorio che gli consentiva di garantirne la sicurezza. La situazione peggiorò dopo il fallimento dei negoziati di Camp David, la passeggiata di Sharon sulla spianata delle moschee e lo scoppio della Seconda Intifada nel 2000. Fu quello il momento in cui Hamas acquistò maggiore visibilità, fece di Gaza una delle sue principali basi operative e fu condannata da molti come organizzazione terroristica. Ma qualcuno osservò che la nascita del «mostro», più di vent’anni prima, era stata favorita dai servizi israeliani, convinti allora che un fanatico movimento religioso avrebbe ridotto l’influenza dei laici di Al Fatah sulla società palestinese. Quando Hamas vinse le elezioni palestinesi del 2005 e cacciò Al Fatah dalla Striscia, i fatti dimostrarono che il calcolo dei servizi israeliani non era sbagliato. Ma anche la scaltrezza talvolta può produrre risultati inattesi. Hamas, solidamente installata a Gaza, è oggi una continua minaccia per lo Stato israeliano.
Nella storia recente di Gaza, la parentesi Sharon, a cui lei si riferisce nella sua domanda, fu certamente la fase più promettente. Ma non credo che il ritiro di circa 9.000 coloni fosse destinato a preparare l’avvento di un vero Stato palestinese. Penso piuttosto che Sharon volesse razionalizzare la geografia degli insediamenti eliminando quelli che erano più difficilmente difendibili e che impegnavano, per la loro sicurezza, una eccessiva forza militare.