Claudio Colombo, Corriere della Sera 22/7/2014, 22 luglio 2014
CAMPIONI SUL RING, KO FUORI. LE VITE SENZA REGOLE DEI PUGILI
Vite violente, lame di coltello, spari. Come quelli che hanno azzoppato, venerdì notte, Mirco Ricci, pugile romano con un soprannome minaccioso (il predatore), 24 anni, appena sceso dal ring dopo essersi confermato campione italiano dei pesi mediomassimi. Lampi di fuoco nella notte romana che doveva essere di festa e che invece, per poco, non precipita nella tragedia. Non c’è bisogno di scavare troppo nella vita di Mirco per capire che si tratta di un altro pugile che viaggia sempre al limite, spesso contromano, su strade pericolose. Già nel 2011, mentre usciva dalla palestra dopo l’allenamento, qualcuno gli aveva sparato colpendolo al gluteo. Indaga la polizia, e il pm ha già preso l’appuntamento per una serie di domande che dovrebbero far luce sulla vicenda. Il «predatore», dall’ospedale, fa sapere di essere felice per essere scampato alla morte: «Volevano farmi fuori. Era qualcuno pagato per fare un lavoro sporco». Sì, ma perché?
Di sicuro, questa è un’altra storia di violenze e dannazione che pone al centro del ring un pugile italiano. Ricci non è il primo, forse non sarà l’ultimo. Vietato demonizzare un mondo e un ambiente globalmente virtuoso come quello del ring; tuttavia c’è un filo rosso, duro come acciaio, che lega la noble art a vite vissute pericolosamente. Come se la boxe, sport che insegna soprattutto lealtà e rispetto delle regole, abdicasse in certi casi alla missione storica che ne ha fatto per decenni una disciplina sociale. Per mille che si «salvano» dalla povertà e dall’emarginazione, ci sono pugili che, emergendo da situazioni ambientali difficili, non riescono ad uscire da percorsi di violenza e soprusi.
L’elenco degli ultimi due decenni è lungo, doloroso, tormentato. Qualcuno ricorderà vicende incredibili come quella di Romolo Casamonica, buon dilettante (partecipò ai Giochi olimpici del 1984), campione italiano dei pesi welter negli anni Ottanta e Novanta, due volte sfidante al titolo europeo. Dalla gloria del ring a Regina Coeli: Romolo finisce pluri-arrestato (l’ultima volta nel 2012) per rapina, estorsione e usura. È considerato uno degli esponenti di spicco di un vero e proprio clan familiare nomade, ma con radici criminose ben piantate in tutto il Lazio.
In passato non sono sfuggiti all’arresto e ad accuse pesanti anche i fratelli Branco, Silvio e Gianluca, idoli della boxe romana: nel 2002 finirono in manette con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a usura e estorsione nell’ambito dell’operazione denominata «Maiorca». Più che beniamini del pubblico di Civitavecchia, la loro città, secondo gli inquirenti i Branco erano diventati corpulenti esattori di una banda che prestava denaro a tassi che variavano tra il 1.200 e il 1.500%. Il maggiore dei fratelli, Silvio, detto il Barbaro (oggi ha 47 anni), nel 2003 fu campione mondiale Wba dei mediomassimi. Gianluca, più giovane di quattro anni, è stato campione europeo dei welter junior. Silvio non nasconde il suo passato, ma sottolinea che la condanna di nove mesi è arrivata «soltanto» per favoreggiamento all’usura, mentre è stato assolto per il reato più grave, quello per associazione a delinquere per il reato di estorsione.
A mostrare la faccia feroce per conto di una banda di strozzini è stato anche Mauro Galvano, campione mondiale ed europeo nei pesi supermedi agli inizi degli anni Novanta: arrestato nel 2010, è stato condannato in primo grado a sei anni e 6 mesi di carcere. In galera nel 2013 è finito per stalking anche Antonio Brancalion, 38 anni, campione italiano dei mediomassimi: nel 2004 patteggiò un anno e otto mesi per rapina ai danni di un’altra fidanzata. E nel 2009 il tribunale di Este lo ha condannato a due anni e sei mesi per aver maltrattato e usato violenza nei confronti di un’altra ex.
Poi ci sono le immancabili storie di droga. Devis Boschiero, 33 anni, veneto, ex campione europeo dei superpiuma (il 10 ottobre disputerà la rivincita con il francese che l’ha battuto in febbraio, Romain Jacob) può raccontare la sua: un patteggiamento di 20 mesi, con pena sospesa, per spaccio. Dannazione e resurrezione («È stato l’errore più grande della mia vita»), con qualche recentissima appendice oscura, come il rifiuto a sottoporsi a un alcol-test dopo essere stato fermato dai carabinieri per guida senza patente. Il 16 ottobre prossimo sarà invece una giornata importante per Loris Stecca, romagnolo, 54 anni. È il giorno fissato dal tribunale di Rimini per l’ammissione delle prove nel processo che vede imputato l’ex campione mondiale dei pesi supergallo, fratello maggiore di Maurizio, oro olimpico nel 1984. Stecca senior è in carcere dal 27 dicembre 2013: secondo l’accusa, cercò di uccidere a coltellate, per questioni economiche, la socia con cui divideva una palestra a Viserba. La vicenda di Loris, uno dei talenti più puri della boxe italiana degli anni Ottanta, si scosta però da quel tipo di violenze che ha caratterizzato altre vite dannate di pugili. Semmai è la conseguenza di un disagio esistenziale esploso alla fine della carriera: va così spiegata anche la clamorosa protesta che Stecca mise in atto nel marzo 2008, quando salì su un ponte dell’autostrada A14 minacciando di buttarsi perché le autorità pugilistiche gli avevano impedito, per ragioni di età, il ritorno sul ring.