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 2014  luglio 22 Martedì calendario

«I NOSTRI CAPI CI HANNO DETTO: ABBATTUTO JET UCRAINO»

«Pensavamo di dover combattere i piloti ucraini appena arrivati a terra col paracadute e invece ci siamo imbattuti in cadaveri di civili. Tanti poveri resti di corpi, assieme a valigie e bagagli che nulla avevano di militare». Sono rivelatrici le parole del miliziano dell’unità combattente «Oplot» (roccaforte) incontrato ieri a mezzogiorno sulle banchine di cemento della stazioncina ferroviaria di Torez, presso i 5 vagoni (4 frigoriferi e quello nel mezzo con i motori diesel per la refrigerazione) dove è contenuto ciò che resta dei corpi raccolti tra i campi di girasole nell’Ucraina controllata dai separatisti filorussi.
Rivelatrici perché lui le pronuncia in modo chiaramente naturale, senza pensarci sopra due volte, dopo aver raccontato della visita ai cadaveri poco prima da parte degli ispettori internazionali e alla fine di una lunga conversazione in cui spiega le consegne della sua unità chiamata a fare la guardia ai vagoni. Pure, sono rivelazioni importanti nella loro innocente semplicità. In verità, potrebbero aggiungere nuove prove alla tesi che incolpa i filorussi per aver erroneamente sparato il missile assassino, pensando invece di mirare a un aereo dell’esercito di Kiev.
«Giovedì pomeriggio i nostri comandanti ci hanno ordinato di salire sui camion con armi e munizioni in quantità. Pochi minuti prima, forse dieci, avevano udito un grosso scoppio nel cielo. Abbiamo appena colpito un aereo dei fascisti di Kiev, ci hanno detto, ingiungendoci di fare attenzione per il fatto che c’erano informazioni per cui almeno una parte dell’equipaggio si era lanciato con i paracadute. Erano stati visti oggetti bianchi tra le nuvole. Forse avremmo dovuto combattere per catturarli», spiega il soldato. Ha l’ordine di non rivelare nome o grado. Nessuno lo fa tra i suoi compagni, saranno una decina sulla pensilina, il resto della «Oplot» sta di guardia tra i binari e alle porte del villaggio di Torez. Lui però dice di avere 31 anni, vive a Torez e da civile fa il minatore nella zona. Poi si fa fotografare ben contento di mostrare i sigilli appena posti ai tre vagoni dagli ispettori della Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza europea (Osce). I corpi raccolti sono 282, il quarto vagone resta aperto per raccogliere gli ultimi.
Il soldato insiste nello specificare che la zona resta tranquilla. «Stiamo facendo bene il nostro mestiere. Anche i commissari europei hanno dichiarato che i corpi sono conservati in modo soddisfacente, all’interno dei vagoni la temperatura è mantenuta tra lo zero e i meno cinque gradi», esclama. Quindi prosegue nel racconto riferito al giorno della tragedia: «Con i miei soldati cercavo di individuare i paracadute sul terreno e sugli alberi. A un certo punto, ho visto brandelli di tela in una radura. Li ho sollevati e ho trovato il corpo di una bambina che avrà avuto non più di cinque anni. Il viso era rivolto verso terra. È stato terribile. Allora ho capito che quello era un aereo civile. Non militare. E questi erano tutti morti civili. Un groppo di valigie scoperchiate non ha fatto che confermare la scoperta».
Da allora la «Oplot» è sempre rimasta sul luogo della tragedia. All’inizio come prima squadra di individuazione dei cadaveri, poi per fare la guardia ai rottami de ll’aereo malese, infine come sentinella ai vagoni-obitorio. Eppure i suoi miliziani non sembrano avere alcun senso di colpa e contraddicono il capo fornendo la versione ufficiale. «Ovvio che non siamo stati noi ad abbattere l’aereo. Non disponiamo di missili capaci di sparare tanto in alto. Questo è un crimine commesso dai banditi che obbediscono al governo di Kiev. Facilmente è stato un loro caccia ad abbattere il Boeing delle linee aeree malesi», commentano.
La loro ostilità nei confronti delle autorità di Kiev si è accompagnata ieri sino a metà pomeriggio a sprazzi di combattimenti presso l’aeroporto e la stazione ferroviaria di Donetsk, la capitale dei separatisti. In centro città le vittime accertate sono almeno quattro, tutte colpite vicino alla stazione. In serata, tuttavia, la situazione è parsa farsi meno tesa. A Donetsk hanno cessato di echeggiare i rombi degli spari. Soprattutto si è giunti a un accordo per la consegna dei cadaveri e delle scatole nere (consegnate ieri sera alle autorità malesi giunte a Donetsk). È stato concluso direttamente via telefonica tra il primo ministro Najib Razak e l’autoproclamato premier separatista Alexander Boradai. Una soluzione che sembra soddisfare i filorussi, visto che scavalca Kiev.
Il treno con le celle frigorifere e i resti di almeno 282 vittime (pare che le restanti 16 siano introvabili perché incenerite dallo scoppio) dovrebbe muoversi nella notte, passare per Donetsk e raggiungere lo scalo di Kharkiv controllato dai regolari ucraini. Lo stesso presidente del governo di Kiev, Petro Poroshenko, conferma l’intesa. I resti dei cadaveri e le scatole nere dovrebbero quindi essere trasportati ad Amsterdam a bordo di un Hercules C130 olandese e scortato da un team di inviati danesi e olandesi.
Lorenzo Cremonesi