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 2014  luglio 22 Martedì calendario

COMUNISTA ATEO, ATRATTO DAL CRISTO ANTI-BORGHESE

Alfredo Bini, il produttore del Vangelo, ha raccontato che occorsero ben trenta taxi per portare i cardinali al cinema Ariston di Roma, dove aveva organizzato la proiezione del film di Pasolini. I padri conciliari, quando lessero nei titoli di testa la dedica a Giovanni XXIII, applaudirono felici, e alla fine uscirono contenti dalla sala. E pensare che solo due anni prima il regista era stato condannato da un tribunale a quattro mesi per vilipendio alla religione, dopo l’uscita de La ricotta, dove Stracci, il poveraccio sottoproletario, interpretava il ladrone buono per poi morire di indigestione sulla croce. All’uscita del Vangelo furono proprio i giornali cattolici a lodarlo, e a premiarlo, mentre la sinistra fu tiepida, o mal digerì l’opera cinematografica. Il regista disse che non era piaciuto ai «cattolici inconsci», quelli che temevano il cattolicesimo come una ricaduta conformista e borghese dopo aver creduto di superarlo con il marxismo.
Indubbiamente Pasolini cattolico non era mai stato. Si dichiarava ateo, sin dagli anni della militanza comunista in Friuli, anche se la religione lo attirava senza dubbio, per la commistione con la cultura contadina, da cui era partito per il suo marxismo spontaneo, costruito su poche letture di Marx. Semmai, più che con la religione, il rapporto di Pasolini era vivo con il sacro, tema che attraversa tutta la sua opera poetica. Certo ne L’usignolo della Chiesa cattolica (1958), poesie scritte tra il 1943 e il 1949, mostra il dramma che attraversa il poeta, il suo rivolgersi a Dio, muro contro cui cozza. In questa raccolta la figura di Cristo è già centrale. Pasolini ha detto di aver letto i Vangeli una prima volta nel 1942, poi nel 1962 ad Assisi, ospite della Pro civitate Christiana di don Rossi, dove gli sorse l’idea del film su Gesù, traendola dal Vangelo di Matteo, dove la figura è evidenziata più nella sua umanità che nell’aspetto divino. La dolcezza e la mitezza di Cristo, insieme alla sua assolutezza, attiravano il regista, che vi scorgeva, come dirà, un rivoluzionario. L’attacco ai farisei è per Pasolini l’attacco al materialismo borghese dei suoi tempi. Questo è ciò contro cui si scaglia il suo Gesù: «strumento irrazionale per esprimere il mio sentimento irrazionale per Cristo».
Distinguendo tra sacro, religione e Chiesa cattolica, Pasolini assumeva un atteggiamento che ben poco si conciliava con le gerarchie vaticane. Il Vangelo sarà così il momento culminante del suo rapporto con la Chiesa, e proprio il 1964 sarà il punto di svolta della visione del mondo, del rapporto tra marxismo e cristianesimo allora al centro del dibattito. Dieci anni dopo, nel 1974, parlando dello storico discorso di Paolo VI a Castel Gandolfo, dirà sulle colonne del Corriere della Sera che la Chiesa è diventata inutile al potere, completamente superata dal neocapitalismo fondato sui consumi. Fino ad allora la Chiesa era stata legata al mondo contadino, ma, tramontato questo, tramonta anche lei, che ha dimenticato, scrive, il suo momento sorgivo, ovvero Gesù. Un rapporto non facile quello tra il regista e l’istituzione religiosa. Reso difficile dalla Trilogia della vita, e poi dalle visioni tragiche e cupe degli ultimi anni che culminano in Salò-Sade. Resterà invece il momento felice della proiezione conciliare, anche se poi l’Osservatore Romano scrisse che il film era fedele al racconto, ma non certo all’ispirazione del Vangelo.