Tonia Mastrobuoni, La Stampa 22/7/2014, 22 luglio 2014
GERMANIA, LA FRENATA DELLA LOCOMOTIVA DEL VECCHIO CONTINENTE
In virtù di un inverno insolitamente mite che ha favorito una fiammata nel settore edilizio, l’aumento del Pil tedesco trimestre su trimestre era stato tra gennaio e marzo tra i più alti degli ultimi tre anni, lo 0,8%. Ma sul periodo successivo hanno già cominciato a pesare le tensioni geopolitiche registrate anzitutto in Ucraina: tra aprile e giugno la locomotiva tedesca si è inceppata.
Il prodotto, ha fatto sapere ieri la Bundesbank, è rimasto invariato rispetto al periodo precedente. Tuttavia la Banca centrale tedesca conferma la sua previsione di un risultato a fine anno all’1,9%, migliore di quanto stimato a dicembre. Anche il governo è fiducioso che «la ripresa congiunturale del Paese stia proseguendo», come ha fatto sapere il ministero delle Finanze.
Lo stesso pronostico è stato formulato ieri dal Fondo monetario internazionale, che nel suo rapporto annuale ha confermato che in Germania «il recupero economico è in corso, spinto dalla domanda interna e sostenuto dai bilanci sani di imprese e famiglie, da un mercato del lavoro forte, da una situazione dei conti pubblici stabile e da politiche monetarie accomodanti». Sono solo due i «nei» individuati dagli economisti di Washington, in una fase in cui la Germania si staglia rispetto a un quadro europeo ancora fiacco soprattutto per i suoi dati sulla disoccupazione, scesi nella seconda metà del 2013 ai livelli più bassi dalla riunificazione. Il primo è proprio la crescita, che secondo il Fmi andrebbe ulteriormente stimolata attraverso misure ad hoc perché «genererebbero anche effetti positivi sul resto dell’area dell’euro, preservando il ruolo della Germania come àncora di stabilità dell’area».
L’aspetto che preoccupa maggiormente il Fmi è invece il possibile effetto del salario minimo sull’occupazione. Dal 1° gennaio 2015 la Germania sarà il 21° Paese europeo ad adottare un livello minimo per tutti in busta paga. Il Bundestag ha approvato nelle scorse settimane la legge che lo fissa a 8,50 euro per tutti i lavoratori dai 18 anni in su, con pochissime eccezioni. Ma per il Fondo il rischio è quello di una «notevole perdita di posti di lavoro».
Un pericolo che il Fmi non menziona, ma che la Bundesbank teme evidentemente più di quanto ammetta ufficialmente, è quello della deflazione. Nel fine settimana il capoeconomista della banca centrale, Jens Ulbrich, ha fatto cadere dalla sedia i sindacati tedeschi esortandoli a essere più audaci nei negoziati per i rinnovi contrattuali. Dopo anni di «responsabile moderazione salariale», Ulbrich avrebbe incoraggiato le rappresentanze tedesche dei lavoratori, durante un convegno della Dgb, a sfruttare appieno i margini offerti dagli aumenti di produttività e dei prezzi per chiedere aumenti in busta paga più alti. Una piccola rivoluzione nella comunicazione degli austeri economisti di Francoforte, tradizionalmente orientati a scoraggiare rinnovi troppo alti. Ma a fronte di un’inflazione che veleggia nell’Eurozona allo 0,5%, la priorità è scongiurare un ulteriore calo.