Roberto Pizzato, Ultimouomo.com 21/7/2014, 21 luglio 2014
IL MONDIALE CHE HA CAMBIATO IL MONDO
Secondo la CNN la prima settimana della competizione ha creato un numero di interazioni su Facebook superiore a quante ne avevano generate il Super Bowl, le Olimpiadi invernali di Sochi e la cerimonia degli Oscar sommati. Pensate che il sito pornografico Youporn, per contrastare il brusco calo di contatti durante le partite, dagli ottavi in poi ha inserito nelle sue pagine aggiornamenti live con i risultati delle partite. La FIFA ha quantificato in un più di un miliardo il pubblico di user che ha assistito complessivamente alla competizione tramite la sua piattaforma digitale ufficiale; per capirne l’incremento il numero di utenti medi giornalieri è stato doppio rispetto a quello di Sudafrica 2010. Questo non significa che gli utenti siano stati realmente così tanti – una persona può accedere ai contenuti con più dispositivi – ma i 451 milioni di utenti raggiunti complessivamente dai contenuti Facebook – un social dove a ogni user corrisponde una persona – ci aiutano a comprendere portata dell’evento. L’impressione è che siano record destinati a migliorarsi con il passare del tempo.
Blatter ha parlato di Global Stadium, un’arena digitale capace di contenere un pubblico 13380 volte superiore a quello del Maracana, e ha definito Brasile 2014 the first truly mobile and social World Cup. Circa un decimo di questi fan digitali erano connessi da dispositivi mobili: l’app ufficiale della FIFA è diventata la più scaricata fra quelle legate agli eventi sportivi con 28 milioni di download, dimostrando che l’organo che governa il calcio mondiale sa percorrere la strada della tecnologia se decide di farlo. Dopo le bombolette spray per gli arbitri, l’occhio di falco e i time out, l’auspicio è che si possa iniziare a discutere liberamente delle innovazioni che potrebbero portare dei benefici al gioco più bello del mondo.
Germania-Argentina è stata il match sportivo che ha creato più engagement sul social di Zuckerberg, battendo il precedente record che apparteneva all’ultimo Super Bowl (280 vs 245 mln di interazioni). Il paragone con il football americano non è casuale, anche se sarebbe più pertinente se fatto con la finale di Champions League, perché con il basket è lo sport che ha fatto scuola sull’uso dei big data, non solo per addetti ai lavori, ma anche come contenuto da condividere con gli utenti. E’ interessante notare come nonostante il calcio non sia lo sport più popolare negli Stati Uniti, le interazioni su Facebook del pubblico americano (10,5 mln) sono state superiori a quelle tedesche (5 mln) e argentine (7 mln). Certo, il numero di abitanti è maggiore, ma se gli statunitensi sapranno investire sul proprio movimento, e l’interesse crescente nei confronti del soccer ci consente di affermarlo, l’MLS e il calcio americano sono destinati a diventare delle realtà sempre più importanti.
Si è parlato molto dell’aspetto quantitativo di questi mondiali digital – i numeri – tralasciando ai margini un’analisi qualitativa del fenomeno, la più interessante per il pubblico, che con i mondiali non deve fare business, ma divertirsi. Le piattaforme di broadcasting e anche gli sponsor infatti, per avere contenuti da condividere con gli utenti, hanno incrementato l’esperienza digitale fruibile. FIFA ha pubblicato una serie di statistiche legate alle performance dei giocatori che non hanno precedenti nella storia dei mondiali, e questo ha cambiato e cambierà sempre di più il nostro modo di parlare di calcio. Ce n’è per tutti i gusti, dai video virali ai performance index, passando per i gossip e le analisi tattiche. Siti e app come quelli di FIFA, Who Scored, Squawka e Fourfourtwo, solo per citarne alcuni, hanno trovato in Brasile la loro consacrazione, dando la possibilità a chiunque di sapere qual è il giocatore che effettua più dribbling, il portiere che tocca di più il pallone o il difensore che viene saltato più volte. Questi dati, associati a quelli fisici come la distanza percorsa o il numero di scatti, permettono a qualsiasi persona disponga di una connessione internet un possibilità di approfondimento senza precedenti. Grazie all’ubiquità garantita dai dispositivi mobile, se al secondo aperitivo un vostro amico sosterrà che il vostro idolo è scarso, per zittirlo basterà tirare fuori il cellulare dalla tasca e mostrargli quanti assist, goal, dribbling o scatti è stato capace di fare. La rivoluzione del digitale ha coinvolto anche il passato: esiste la possibilità di consultare i dati sui mondiali storici e di paragonare i numeri di Messi con quelli di Maradona, come ha fatto il New York Times.
Quando ero piccolo, la mia conoscenza dei mondiali storici – e di tutto quello che riguardava il passato del calcio – era basata sulle videocassette della Gazzetta dello Sport. Così ho assaporato i 120’ di Italia-Germania 4-3, Martellini che urla “Campioni del Mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!”, i goal più belli di Maradona, l’Inter dei record e altre meravigliose storie del pallone. Le generazioni di mio nonno e di mio padre guardavano meno calcio, il racconto era soprattutto informazione. Le parole di Brera, gli aneddoti di Valdano o Soriano, hanno il sapore delle cose antiche da quando online troviamo anche partite storiche, restaurate. In questo il digitale ha avuto anche un valore retroattivo, screditando chi lo vede come una minaccia per la parte romantica del calcio. Mai come oggi possiamo trovare materiale sui grandi del passato, da Yashin a Eusebio, passando per Garrincha e Di Stefano. E tutto senza bisogno di accendere la TV, di comprare giornali o collezioni di DVD. I nuovi media hanno ampliato la possibilità di intrattenersi, affiancando al divertimento anche la possibilità di fruire dati tecnici. Questo non significa che lo story telling abbia perso valore, ma che grazie al digitale sia affiancato da una quantità di materiale, anche amatoriale, prima inimmaginabile. Ami Ronaldo O’Fenomeno? Basta una veloce ricerca su Youtube per gustarsi dei video di 10’, praticamente dei play-by-play anche di partite che di certo non sono ricordate come tra le più importanti della storia del calcio. Ed è proprio l’oceano di informazioni disponibili a rendere sempre più necessario il ruolo pundit e storyteller, almeno per chi non voglia fare tutto da sè.
Nel calcio, la prima rivoluzione tecnologica è avvenuta negli staff, progressivamente allargati a una serie di nuove professionalità praticamente inesistenti fino a un decennio fa. La presenza e il numero crescente di dati sulle performance, hanno introdotto la necessità di figure fondamentali come quelle degli analyst, che ormai sono parte integrante del team che accompagna alle competizioni importanti ogni squadra che si rispetti. E’ stato così sia per le squadre a cui è andata male, come l’Italia di Prandelli, che per quelle a cui è andata bene, come l’Olanda di Van Gaal. In Brasile il neo mister del Manchester United ad esempio, coordinava uno staff di 37 persone; non a caso in inglese, la parola usata per definire il commissario tecnico è manager. Questo è l’approccio di uno che ha vinto la Champions League 1994/1995, c’è da stare certi che le nuove leve non potranno che proseguire in questa direzione.
Regina Brandao è stata una collaboratrice di Felipao Scolari fin dal 1990. A maggio aveva tracciato un profilo dei 23 convocati verdeoro e dopo le loro frequenti crisi di pianto è stata nuovamente convocata dal tecnico brasiliano. Visti i risultati, sul web è stata derisa da molti, nonostante la psicologia sia una disciplina associata allo sport professionistico ormai da decenni. Ora però, si è aperto un altro fronte: la gestione delle emozioni degli atleti va sviluppata in modo diverso. I nuovi media e i social network danno ai calciatori un’esposizione diretta con il pubblico, e crea una situazione senza precedenti. Se pensiamo all’Italia di Lippi arrivata in Germania nel 2006, ci viene in mente una squadra isolata dai media con un semplice silenzio stampa. Almeno all’inizio, le relazioni possibili per i convocati erano limitate a staff e parenti, con questi ultimi solo al telefono. Poi, quando scendevano in campo, c’era l’impatto con il pubblico. Ora è una situazione impensabile: anche se impedisci di twittare a Balotelli, non puoi impedirgli di guardare cosa gli scrivono. Se un giocatore gioca male, l’ironia sul web può assumere toni peggiori di quella che un tempo veniva chiamata la gogna mediatica. Da Mick Jagger al parrucchiere di Cologno Monzese, il coro di voci che parlano del mondiale può diventare un’onda che travolge i protagonisti. Non ci sono più filtri, la comunicazione è diretta all’interno del Global Stadium, lo spazio virtuale tanto caro a Blatter e agli sponsor. Questa è la nuova sfida, gestire le emozioni che generate dai social e forse, quelle generate ancora meno romantiche di uno stadio che passa tutto il tempo a fare video con lo smartphone.
Spesso si pensa alla tecnologia come a qualcosa di meccanico, scientifico, in contrapposizione al talento, che invece trova la via spianata da un suo uso sapiente. Per una specie di conservatorismo intellettuale la si ritiene appannaggio di un’elite, dimenticando che nell’era del digitale essa ha un carattere necessariamente globale. L’organizzazione dei processi di lavoro e i suoi riflessi sulle performance in campo, non sono più una prerogativa di alcune realtà, storicamente quelle europee. Al di là del talento puro, tutti i parametri sui quali si può lavorare sono stati portati al massimo. Il livello medio delle squadre, sia come preparazione atletica che tattica, è migliorato, perché sono più organizzate, e non sempre le peggiori coincidono con quelle che hanno meno risorse. Forse è l’inizio di una rivoluzione che potrà scardinare l’insensato conservatorismo in materia di regole e di tecnologia che ha regnato sinora, una concezione del calcio che più che romantica si è dimostrata antistorica. E’ iniziato un processo che ha cambiato il modo di parlare di calcio, di interagire tra i vari componenti del sistema e ne ha globalizzato i contenuti, la conoscenza. I suoi detrattori dovranno arrendersi perché schierarsi contro la tecnologia non ha senso: non si può combatterla, esiste e continuerà a progredire, contribuendo con un apporto sempre più significativo alle performance sportive, all’intrattenimento e al business. Se il calcio è una fede, il conflitto tra tecnologia e passione non esiste, perché la scienza risponde a una domanda diversa dalla religione.