Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 20/7/2014, 20 luglio 2014
I CRISTIANI IN FUGA DA MOSUL
Dopo duemila anni gli ultimi cristiani di Mosul hanno abbandonato la seconda città irachena diretti verso Erbil, Dohuk e altre località del Kurdistan considerate più sicure. Finisce così con una fuga disperata, nell’indifferenza generale dell’Occidente che volle nel 2003 la caduta di Saddam Hussein, la loro presenza millenaria nel Nord dell’Iraq. Qui in Iraq, dove si trovano chiese risalenti al secondo e al terzo secolo, i cristiani un decennio fa erano circa un milione e mezzo, ora sono meno di 300mila. Ma forse è una stima per eccesso.
Una tendenza all’estinzione della presenza cristiana in Medio Oriente in atto anche in Siria dove i combattenti dell’Isil e di Jabat al Nusra hanno raso al suolo intere città e quartieri, luoghi di culto compresi, insieme a icone, reliquie, statue e antichi reperti archeologici. Una sorta di nemesi biblica, perché negli anni scorsi era proprio in Siria e a Damasco che trovavano rifugio i cristiani iracheni in esilio sulle orme di Abramo.
Scadeva ieri l’ultimatum dei jihadisti del nuovo Califfo Abu Bakr al Baghdadi, comandante supremo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante: «Convertitevi all’Islam o pagate una tassa speciale (la jizya), l’alternativa è lasciare la città e le case senza portare via bagagli». Per i cristiani che non avessero accettato queste condizioni, avevano ammonito i jihadisti, «non ci sarà altro che la spada». Sono 25mila i cristiani di Mosul che in queste ore lasciano la città con ogni mezzo.
Ma dalle città controllate dal nuovo Califfato fuggono adesso anche i musulmani sciiti, terrorizzati dall’avanzata sunnita, creando un solco sempre più profondo tra etnie, confessioni e sette. Si disfano i princìpi della convivenza civile, la società viene impoverità della sua stessa storia e cultura mentre queste massicce migrazioni in atto attraverso frontiere in disgregazione - si parla di milioni di profughi e sfollati interni - stanno producendo una divisione dei territori su base confessionale o etnica.
Non si tratta soltanto della sorte dei cristiani ma della chance futura di potere ricostruire delle nazioni e degli stati che stanno affondando, come la Siria e l’Iraq.
La geopolitica dell’intolleranza praticata con furore dai jihadisti lascia poche speranze alle nuove generazioni. È così che avanza il nuovo Medio Evo contemporaneo, in un certo senso peggiore persino di quello storico, con la cacciata dei cristiani e delle altre minoranze, nello spregio persino delle regole che un tempo imponevano i veri califfati, i quali proteggevano sia cristiani che gli ebrei, autorizzati - anche allora dietro il pagamento di una tassa speciale - a esercitare liberamente il culto e ad amministrare la giustizia secondo le loro regole all’interno delle rispettive comunità. Era questo il sistema del "millet" (comunità religiosa protetta) attuato durante i secoli dall’Impero Ottomano che aveva accordato alle sue minoranze religiose (greca ortodossa, caldea, armena, ebrea, siriaca) l’autonomia e la protezione dei giannizzeri. Ma questa architettura socio-religiosa sopravvissuta con le sue contraddizioni anche negli stati nazionali sorti dopo la fine dell’Impero e la decolonizzazione si sta sgretolando con l’ascesa del neo-califfato.
Papa Francesco sta seguendo con grande preoccupazione la situazione in Iraq mentre il patriarca della Chiesa cattolica siriaca, Ignace Joseph III Younan, ha dichiarato che l’arcivescovado a Mosul è stato completamente bruciato, manoscritti, biblioteca, e antichi reperti storici compresi. «Hanno minacciato che se non si convertiranno all’Islam tutti i cristiani saranno ammazzati. Questa è una vergogna per la comunità internazionale», ha detto Younan, invitando a sospendere gli aiuti finanziari agli estremisti. «Da chi ricevono le armi? Dai Paesi integralisti del Golfo, con il placet di politici occidentali perché hanno bisogno del loro petrolio e dei loro soldi per le commesse militari», ha accusato il Patriarca.
Quello del Patriarca, in questi giorni ospitato in Vaticano, non è purtroppo un atto d’accusa troppo lontano dalla realtà e che in parte spiega l’assordante silenzio delle cancellerie occidentali, in queste ore travolte dalla questione ucraina e da Gaza, probabilmente più inclini a mobilitarsi per altre cause che non mettano in discussione consolidati rapporti politici e lucrosi interessi economici. Ai cristiani di Mosul e che cadono sotto il potere in ascesa del nuovo Califfato non resta che abbandonare dolorosamente le loro case dove i jihadisti con la vernice fresca hanno spennellato una "N" sulla porta delle abitazioni: vuol dire Nasara, cristiano appunto.