Bruno Tinti, Il Fatto Quotidiano 20/7/2014, 20 luglio 2014
SE LA SENTENZA È GIUSTA, I TESTIMONI SONO FALSI
I processi servono per accertare se una persona è colpevole o innocente. Proprio per questo l’assoluzione dell’imputato è una conclusione fisiologica esattamente come la condanna. Non fosse così, se ogni processo dovesse concludersi con una condanna, il processo stesso diventerebbe inutile: basterebbe un Pm per archiviare o infliggere anche un ergastolo in via definitiva. Questa cosa i sostenitori di B. la dimenticano sempre: se il loro boss è condannato si tratta di una sentenza “politica” di una magistratura braccio armato dell’opposizione; se è assolto, si tratta della riparazione che la “parte sana” della magistratura fa nei confronti del complotto della magistratura braccio armato etc...
Così sta succedendo per la sentenza di assoluzione di B. nel processo Ruby. B era stato condannato in primo grado per concussione e prostituzione minorile: 7 anni. Ma la Corte d’Appello lo ha assolto dalla concussione perché il fatto non sussiste e dalla prostituzione perché il fatto non costituisce reato. In genere il semplice “dispositivo” della sentenza non basta per capire quali siano state le motivazioni dei giudici; ma questa volta non è difficile immaginarle.
SE IL FATTO NON SUSSISTE vuol dire che manca la condotta penalmente rilevante, in questo caso la minaccia implicita (di minacce esplicite non si è mai parlato) contenuta nella richiesta di B. di consegnare Ruby a Minetti invece che portarla in una comunità, come aveva ordinato il Pm dei minori: “Fate come vi dico o vi saranno conseguenze spiacevoli, quantomeno per la vostra carriera”. Ma, posto che disobbedire all’ordine del Pm non si doveva, se B. non aveva, nemmeno implicitamente, indotto con minacce Questore, Capo di Gabinetto e Commissario PS a fare ciò che non dovevano, perché costoro invece lo avevano fatto? La spiegazione dovrebbe stare in quello che si chiama “timore reverenziale” : un atteggiamento naturalmente sottomesso che alcuni pubblici ufficiali assumono nei confronti dei loro superiori; tanto più sottomesso quanto maggiore è la distanza gerarchica tra loro. Un po’ come Paolo Villaggio nei confronti del supermegadirettore che lo tiranneggia e cui il tapino risponde sempre “Come è buono Lei”. Insomma, B. non ha avuto bisogno di esercitare pressioni, esplicite o implicite. È bastata la sua telefonata a far scattare in pavidi (o forse interessati e speranzosi) funzionari la molla dell’acquiescenza e della compiacenza.
Costituzione, separazione dei poteri, autonomia della magistratura, obbligo di esecuzione dei provvedimenti giudiziari, che roba è? Qui, dall’altra parte del filo c’è B., presidente del Consiglio, magnate dell’industria televisiva, notoriamente generoso con i suoi giannizzeri. “Eccellenza, a disposizione”, come disse un Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione perfino a un politico in pensione. E naturalmente, se così andarono le cose (non pare esservi prova che siano andate diversamente) non si può imputare a B. la naturale propensione al servaggio dei suoi interlocutori.
Ma la richiesta era illegittima; proporla ed eseguirla non dovrebbe essere penalmente rilevante? Sì, in effetti lo era; fino al 1990. Compiere atti contrari a leggi o regolamenti per soddisfare un interesse personale proprio o di altri era reato. Ed era un ottimo sistema per contrastare la corruzione: spesso era difficile provare la dazione di una somma di danaro o comunque il corrispettivo per un’attività illegale compiuta dal pubblico ufficiale; e, niente corrispettivo, niente corruzione. Ma l’abuso d’ufficio stava nelle cose, nei documenti, insomma nell’attività compiuta dal pubblico ufficiale; ed era punito con la stessa pena della corruzione: fino a 5 anni. Come ho detto, un buon sistema. Troppo buono. Il Parlamento all’unanimità lo modificò (in piena Mani Pulite, guarda che coincidenza): l’interesse per cui si abusava dell’ufficio doveva essere di natura patrimoniale; se non riguardava roba di soldi non era reato. E si capisce bene, tornando a B., che affidare Ruby a Minetti non era cosa di soldi. Sicché lui e i suoi accoliti hanno commesso un abuso d’ufficio penalmente irrilevante.
QUANTO ALLA PROSTITUZIONE minorile, B è stato assolto perché il fatto non costituisce reato. Che vuol dire che il fatto è stato commesso ma che manca l’elemento soggettivo, il dolo. In un reato del genere il dolo può riguardare solo due cose: la qualità di prostituta di Ruby e la sua età di infra diciottenne. Escluso che B. potesse avere dubbi sulla prima, è ragionevolmente possibile che non abbia avuto dubbi nemmeno sulla seconda. Chiunque abbia visto qualche fotografia della signorina non si è certamente posto il problema della sua età: una venticinquenne in fiore, questa è l’impressione che dava. Ora, chi si accoppia con una prostituta minorenne non può difendersi sostenendo che non immaginava si trattasse di una ragazzina. Ma l’errore deve essere colpevole: non si chiede la carta di identità a una donna fatta e finita, dagli atteggiamenti che più adulti non possono essere.
La formula assolutoria però ha una conseguenza importante: il fatto non costituisce reato significa che il fatto c’è stato, B. ha avuto rapporti mercenari con Ruby. E dunque tutti i testimoni che lo hanno negato hanno detto il falso; e B. che li ha istigati ne dovrà rispondere anche lui. Credo sia evidente a tutti che, quando succederà (come deve succedere), Tv e giornali organici al miliardario rispolvereranno la teoria della cospirazione: avete visto, è stato assolto con formula piena ma la Boccassini (e Md e i comunisti e chiunque altro sia critico nei suoi confronti) continuano l’assedio... Ma resisteremo; e B. sarà il prossimo Presidente della Repubblica.