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 2014  luglio 20 Domenica calendario

BLAIR, IL GURU DELLA SINISTRA CHE LA SINISTRA HA RIPUDIATO


A 41 anni è il più giovane leader laburista dalla Seconda Guerra mondiale. A 44 è il primo a battere i conservatori dopo quattro mandati consecutivi. Nel 1997 è il capo di governo che strappa la più ampia maggioranza parlamentare della storia del Labour. Nel 2005 è l’unico primo ministro laburista a vincere tre elezioni consecutive. Oggi è quello che ha occupato più a lungo Downing Street. Sono passati vent’anni da quando Tony Blair fu incoronato leader del Labour Party. È il 21 luglio 1994 e l’ex avvocato scozzese, con laurea a Oxford e dieci anni di esperienza parlamentare, conquista i laburisti con la sua oratoria, il carisma e la passione riformista. Domani, giorno dell’anniversario, pronuncerà un discorso anche per difendere la sua eredità politica e rispondere agli attacchi degli ex alleati che gli hanno voltato le spalle e di un pezzo di partito che l’ha addirittura ripudiato.
Sì, perché oggi l’uomo dei record di anni ne ha 61, nel mondo è una celebrità ma per molti nel Labour è diventato più un imbarazzo che un modello. Tutta colpa della nuova vita dopo Downing Street, le conferenze in giro per il mondo da duemila sterline al minuto, le trasferte a bordo del «Blair Force One», un Bombardier Global Express nero con salotto, sala da pranzo e cucina, noleggiato per 9mila euro l’ora. Tutta colpa delle consulenze per le grandi banche d’affari JpMorgan, Us Investment Bank e Zurich International e quelle per i governi ricchi di petrolio e poveri di democrazia come il Kuwait e il Kazakhstan. Tutta colpa dei 60 milioni di sterline accumulati con le società di consulenza e le fondazioni con cui dà lavoro a 200 persone. Troppo ricco, gli rimproverano, troppo vicino al capitale, sempre meno di sinistra.

LA RIVOLUZIONE
Eppure Tony Blair è stato l’uomo della Provvidenza per il Labour e per la sinistra. Tre mesi dopo l’elezione a leader del partito, in seguito alla morte per infarto di John Smith, Blair si presenta al Congresso del Labour – è l’ottobre 1994 – e a fine discorso tira fuori l’artiglieria: vuole l’abolizione della Clause IV dalla Costituzione del partito. Chiede cioè di cancellare l’impegno alle nazionalizzazioni di massa, quello che prevede di affidare i settori chiave dell’economia allo Stato. «È come entrare in una chiesa e buttare giù il crocifisso», lo avverte il braccio destro Alistair Campbell. Ma Blair vuole dire addio a ogni residuo marxismo. «Dobbiamo decidere il nostro destino: essere un partito di governo o essere un partito di protesta». Nasce il New Labour, figlio della Terza Via a metà tra liberismo e socialismo. Che nel ’97 gli regala una valanga di voti e ai conservatori il peggior risultato dal 1906. «È la nuova sinistra del centro», dice lui. Per la prima volta un leader del Labour si rende autonomo dai sindacati, piace ai capitali e alla City. Non rinnega la Thatcher, anzi va avanti con le privatizzazioni della Thatcher. Promette che non rinazionalizzerà e dice addio alla politica del «tassa e spendi». Difende la scuola, la sanità pubblica ma piace anche alla middle class perché favorisce l’iniziativa privata e promette lotta dura contro il crimine. «È il capitalismo coniugato con la giustizia sociale e l’efficienza», spiega lui. E intanto conquista tutti.

IL CARISMA
Lo Squalo Rupert Murdoch gli garantisce l’appoggio del tabloid più venduto, il Sun, e del gioiello dei giornali di qualità, il Times. Ma Blair convince anche l’Economist, moderno tempio mediatico della teoria liberista, che lo mette in copertina con i capelli cotonati e gli orecchini della Thatcher e invita gli elettori: votate conservatore, cioè votate Blair. Al partito arrivano finanziamenti dai big della City, i grandi magazzini «Marks & Spenser» tolgono ai conservatori per dare ai laburisti e anche il miliardario David Sainsbury, il re dei supermercati, gli apre il portafoglio. Intanto a Downing Street brindano alla sua vittoria gli Oasis, i nuovi signori del Britpop, e star di Hollywood come Kevin Spacey. Pure la regina accetta i suoi consigli quando Diana muore nel tunnel del Pont de l’Alma di Parigi, lui pronuncia il discorso perfetto in cui la incorona «principessa del popolo» e poi convince Elisabetta II a fare una dichiarazione pubblica. «Dovevo proteggere la monarchia da se stessa», scrive nelle sue memorie. Ci riuscirà.

IL BOOM ECONOMICO
In pochi anni, con l’aiuto dell’amico-rivale Gordon Brown, la sua mente economica, la City esplode e Londra diventa ombelico della «Cool Britannia», il Paese in cui riesplode la creatività nella musica, nella moda e nell’arte. In Scozia e Galles arriva la devolution, in Irlanda del Nord si firma la pace e solo Brown frena la voglia di Europa di Blair. Sono anni di successi che volano in fretta. Come in fretta nascono le antipatie per l’amicizia con George W. Bush.

L’IRAK
Con la guerra in Irak nel 2003 comincia la fine del suo idillio con l’opinione pubblica. L’Old Labour non digerisce la vicinanza al presidente neo-con, il conflitto costa la vita a 179 soldati e al premier il risentimento delle Forze armate. Per Peter Mandelson, che con lui ha rivoluzionato il partito, «l’Irak è stato il bastone con cui la destra ha potuto colpire Blair perché era uomo del Labour e la sinistra ha potuto infierire perché era uomo del New Labour». Intanto Brown preme per prendere il suo posto. Ma Blair è ancora forte dei suoi successi ed è già una star mondiale, pronto per la nuova vita fuori da Downing Street.

IL RIPUDIO
Nel 2007 fa il beau geste di lasciare il posto allo scalpitante Brown dopo avergli regalato un’altra travolgente maggioranza due anni prima. È la fine della politica attiva e poco dopo sfuma anche la presidenza dell’Unione europea. Lui intanto si converte ufficialmente al cattolicesimo e crea una fondazione per il dialogo interreligioso. Diventa inviato del Quartetto per il Medio Oriente, ma cominciano le critiche anche per la sua inerzia. Il popolo laburista fatica a digerire la sua nuova vita da riccone, le amicizie con i dittatori, e scopre degli intrecci con Murdoch, a cui ha battezzato una figlia in segreto, di quelli con la pupilla dello Squalo, Rebekah Brooks, a cui dispensa consigli mentre lei è sotto processo per intercettazioni illegali, e scopre infine del rapporto sospetto con la moglie dello Squalo, Wendi, da cui l’editore divorzia sostenendo di aver saputo degli incontri segreti con l’ex premier.
«Odiarlo è il nuovo sport nazionale», scrive l’Economist. Domani ci proverà lui a ricordare cos’è stato il blairismo. Ma un ex fan, il commentatore Stephen Bush, è pessimista: «Forse Blair ha trovato un nemico capace di distruggerlo: se stesso».