Giampaolo Pansa, Libero 20/7/2014, 20 luglio 2014
E PER LA PRIMA VOLTA RENZI HA PAURA
A giudizio di qualche giornale ci sarebbe una novità a Palazzo Chigi. L’intesa fra il premier Matteo Renzi e il suo numero due, Graziano Delrio, si starebbe incrinando. Tra loro «cala il grande freddo» ha scritto Paolo Bracalini sul Giornale di venerdì 18 luglio. È un retroscena fondato o soltanto una delle tante leggende che nascono attorno a Renzi, in questo momento il politico più potente in Italia? Stimo Bracalini e so che non è abituato a mettere sul fuoco una pentola vuota. Tuttavia penso che il problema del freddo non riguardi tanto il numero due di Palazzo Chigi, quanto il numero uno, il presidente del Consiglio. E adesso proverò a spiegare come la vede il Bestiario.
Chi sia Delrio lo sanno quasi tutti. Èun signore di 54 anni, dunque anziano per il giovane Matteo. Un medico di Reggio Emilia, già democristiano della Margherita, la stessa parrocchia di Renzi. Si è fatto le ossa dapprima come sindaco di Reggio, poi da presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, quindi da ministro degli Affari regionali nel breve governo di Enrico Letta. Per approdare infine all’esecutivo di Matteo il Rottamatore, ormai sulla strada di diventare il Rifondatore o il Rivoluzionario. Cinque mesi fa, quando nacque l’esecutivo di Renzi, l’attenzione dei cronisti politici non si concentrò sulle ministre giovani e sexy, impreparate, ma splendenti sui tacchi da dodici. Fu Delrio il soggetto di tante analisi. Non aveva riavuto il rango di ministro, però gli era stato affidato un incarico ben più delicato: quello di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Non era un pennacchio, dal momento che le deleghe ricevute erano tutte importanti. Il sabato 22 febbraio, giorno del giuramento al Quirinale, Il Sole 24 Ore ne contò cinque. Eugenio Bruno e Davide Colombo scrissero che Delrio aveva la figura più del vicepremier che del sottosegretario.
Il medico di Reggio Emilia sembrava una figura indispensabile al Renzi dei primi passi. Un tutor silenzioso, connotato da un volto non banale. Quello di un anziano sceriffo incaricato di proteggere il giovane cowboy, di guidarlo nella boscaglia della politica romana, per fargli scansare i troppi serpenti sotto le foglie, guardargli le spalle e impedirgli di fare errori.
E nella veste di un Virgilio dalla barbetta caprina che affianca un Dante sempre a gamba tesa, Delrio diventò un protagonista silenzioso delle interminabili conferenze stampa renziste. Matteo parlava e parlava, illustrava una diapositiva dopo l’altra, le famose slides. Mentre il paziente Graziano lo assisteva con lo sguardo ansioso dello zio che osservi il nipote in equilibrio sulla ringhiera di casa e tema di vederlo cadere dal terzo piano.
Ma la politica è una brutta bestia. E può riservare sorprese spiacevoli. Infatti fu Delrio a commettere il primo errore. Il giorno successivo al giuramento non seppe resistere al fascino della comparsata televisa. Accettò di farsi interrogare da Lucia Annunziata nel suo programma sulla Rete Tre della Rai, la Mezz’ora. Avrebbe dovuto sapere che la Badessa è più pericolosa di un pubblico ministero e non ha mai avuto soggezione di nessuno. Così carogna nelle domande da aver costretto Silvio Berlusconi a tagliare la corda prima che lo show finisse.
Quella maledetta domenica, la Badessa lo spinse a parlare del fisco. E Delrio commise la prima, grande gaffe della sua neonata esperienza a Palazzo Chigi. Sostenne che anche i Buoni del Tesoro potevano essere tassati. E per suicidarsi del tutto, azzardò un esempio fantozziano e dannoso a se stesso e al governo: «A una signora anziana che ha messo da parte centomila euro in Bot, non accadrà nulla se dovrà versare in tasse venti o trenta euro. Non avrà di certo problemi di salute».
Si aprì per Delrio un pomeriggio da cani. Al premier Renzi fumarono i santissimi. Si affrettò a smentire il suo Virgilio, spiegando che non era prevista nessuna nuova tassa. Tanto meno sui Buoni del Tesoro. Nessuno è mai riuscito a conoscere quel che urlò al sottosegretario. Ma sappiamo che, sotto l’aspetto del bravo ragazzo, Matteo è un fiorentino che sa adoperare il pugnale. Ed è possibile che proprio al suo esordio a Palazzo Chigi, la fiducia del premier nei confronti di Graziano abbia subìto un primo colpo non da poco.
Per il calendario, dalla fine di febbraio a questa fine di luglio sono trascorsi cinque mesi, ma è come se fossero passati cinque anni. Renzi non è più una recluta. Ha dato il via a un insieme di promesse mirabolanti. Ha vinto a mani basse le elezioni europee, con un 40,8 per cento di voti che neppure lui si aspettava. Ha avviato il semestre italiano in Europa. Si prepara a varare la scomparsa del Senato. E attende di fare il grande azzardo di una nuova legge elettorale che dovrebbe decretare il suo trionfo e azzerare le opposizioni.
Ma il cielo su Palazzo Chigi non è affatto sgombro di nuvole. La ripresa economica non decolla. Nel 2014 il Prodotto interno lordo crescerà di appena lo zero virgola due per cento, lo certifica la Banca d’Italia. Contro tutte le previsioni, Silvio Berlusconi ha vinto in appello il processo per la storiaccia di Ruby e nessuno sa prevedere quale effetto avrà il successo del Cavaliere sul patto per le riforme stretto con Matteo.
Che cosa accade sotto questi chiari di luna? La sorte di Delrio ha poca importanza. La sensazione è che il sottosegretario di Palazzo Chigi non venga più considerato da Renzi il proprio Virgilio e sia invece una stella cadente. La dice lunga pure il fatto che l’abbiano mandato di prima mattina a bussare alla porta di Carlo De Benedetti per consultarlo non si sa su cosa. Il primato del governo avrebbe dovuto imporre che l’Ingegnere venisse convocato nell’ufficio di Renzi per conferire con il premier. Vedere Delrio nei panni del fattorino incaricato di recapitare un messaggio è stato uno spettacolo avvilente.
C’è una verità che conoscono in pochi. E anche questi pochi te la raccontano a pezzi e a bocconi. Renzi è diventato insicuro. Poiché si rende conto di incontrare più ostacoli di quanti immaginasse. Pensava che il suo strabiliante trionfo elettorale alle elezioni europee gli avrebbe spianato la strada a Bruxelles e a Strasburgo. Invece non riesce neppure a insediare come ministro degli Esteri del continente la sua Mogherini, ritenuta inadeguata al ruolo.
Il mondo si sta incendiando. Israele è insidiata dai razzi di Hamas e invade la Striscia di Gaza. I filorussi abbattono sul confine ucraino un aereo con trecento persone. La guerriglia islamica dilaga. E lui deve battersi in casa con i Chiti, i Mineo e i Mucchetti, uomini liberi che considera avversari da nulla. Questo lo rende ombroso, diffidente, logorroico. I jeans blu sono diventati la divisa di un guerriero inciccionito che teme di perdere.
Anche la campagna di stampa sulle sue voglie autoritarie lo disturba. Al punto di immaginare che, prima o poi, crederà di trovarsi alle prese con qualche complotto. La sua Firenze è sempre stata un luogo di congiure. Renzi sa che dovrà tenere i nervi saldi contro i rischi dell’economia e le trame della politica. Forse ha paura di non riuscirci. Prima o poi sarà costretto a richiudersi nel bunker di Palazzo Chigi, sotto la protezione del suo Giglio Magico, guidato da giovanotti maneschi come il Lotti. Ma a questo punto è lecita una domanda: la stella cadente è Delrio o lo stesso Renzi? L’importante è che non mandino in malora l’Italia.