Teresa Ciabatti, il venerdì di Repubblica 18/7/2014, 18 luglio 2014
CRISTINA D’AVENA: «BEATI I PUFFI, NON INVECCHIANO MAI»
«Tu non devi crescere mai» le scrivono i fan. E lei non li delude. Perché tutto quello che è e che ha costruito lo deve a loro, ai bambini di un tempo. «Crescere significherebbe tradire la loro infanzia» dice. Cristina D’Avena, cinquant’anni il 6 luglio, trent’anni di carriera, settecentocinquanta canzoni, disco d’oro per la Canzone dei Puffi, si è fermata laggiù. E non vuole più tornare. Esattamente dove?
«Agli anni di Kiss me Licia. Se sento qualcuno chiamare Licia, mi giro».
Sono quelli gli anni più felici?
«Licia ero io. Quella era la mia famiglia. Kiss me Licia è stato il primo telefilm italiano per ragazzi. Giorgio Gori, allora direttore di rete, ci faceva i complimenti: campioni di auditel. Nessuno ci voleva contro. Antonio Ricci litigava per farci spostare, diceva che portavamo via pubblico al Gabibbo. “Tutto ma non Licia” diceva. Eravamo la sua ossessione».
L’apice della sua carriera?
«1992, concerto al Forum di Assago. Sono stata la prima donna a salire su quel palco. Tutto esaurito: 15 mila in sala, 3 mila all’esterno».
Quando è iniziato a cambiare qualcosa?
«Non è cambiato niente. Ho sempre moltissimi fan, ricevo centinaia di lettere e proposte di matrimonio da uomini di tutte le età, dai venticinque ai novant’anni. Solo che oggi mi scrivono su Facebook. Senta qui la tenerezza di queste persone: “Veronnica: è stato fantastico, con Pollyanna avevo i brividi, e mi è bastato chiudere gli occhi per riassaporare i profumi e i ricordi di quando ero piccola; Ivan: Bellissimo look. Adoro la gonna; Mattew: dove ci sei tu, c’è sempre boooooom».
Va bene, non è cambiato niente e lei ha ancora molti fan, contenta così?
«Una volta a un mio concerto è venuto un punkabbestia, barba, piercing, birra. Ho pensato: si sarà sbagliato. Poi quando ho iniziato a cantare Memole e lui è scoppiato a piangere, ho capito: l’infanzia è il rifugio di tutti. Bisogna tornare alla purezza dell’infanzia».
Non c’è dubbio, ma dopo l’infanzia, dopo la sua infanzia, cosa c’è per lei?
«Sempre a un mio concerto scoppia una rissa. Io mi fermo e dico al microfono: “Vi rendete conto di cosa state facendo? Noi rievochiamo l’infanzia e voi vi picchiate, sporcate il ricordo con la violenza!”. Si sono fermati».
Interessante. Quale dei suoi personaggi avrebbe potuto dire queste parole?
«Grande Puffo, ma anche Georgie».
Tornando alla sua carriera: non è cambiato niente, l’amore del pubblico è invariato, lei però a un certo punto è stata meno presente in tv, giusto?
«Non nego di aver sofferto quando hanno chiuso la Tv per i ragazzi. Per loro i bambini contano poco».
Per loro chi?
«I dirigenti tv, gli adulti».
È triste sì. Cosa fa oggi Cristina D’Avena?
«Concerti per l’Italia, centri commerciali. Conduco karaoke per bambini. Ho lanciato una mia linea di sneakers. Vado negli ospedali a far visita ai malati».
Un ricordo legato all’ospedale?
«Ho cantato I Puffi per un ragazzo in coma».
Si è risvegliato?
«No».
A proposito di Puffi, anche le nuove sigle sono cantate da lei.
«Sì».
La voce sembra la stessa di quando era bambina.
«È un dono di Dio. Almeno con quella ho fermato il tempo».
Conserva qualcosa del suo passato?
«Ho un magazzino dove conservo tutti i vestiti di scena. Ogni tanto li riguardo, li riprovo. Alcuni non mi entrano più».
È credente?
«Voglio raccontare un episodio che non ho mai raccontato prima, lo voglio raccontare per un motivo: trasmettere ai giovani che Dio c’è. Dunque: sono in macchina con mia sorella e altri amici. Scoppia una gomma, la macchina gira su se stessa una decina di volte. Io vedo ghiaia e non asfalto. E le macchine intorno ferme, ogni cosa attorno di colpo immobile. Non ci sono stati danni, né feriti. Un miracolo».
O una magia. Se fosse la Fata Turchina cosa farebbe?
«Fermerei il tempo».
Pensa di esserci riuscita in qualche modo?
«Non so. Diciamo che odio i cambiamenti. Ho sempre vissuto con mamma e mia sorella. Vivo ancora con loro».
La scelta di non sposarsi è stato un modo per non cambiare?
«Non mi vergogno a dire che soffro un po’ della sindrome di Peter Pan, che male c’è? Poi intendiamoci, non è che io non sia cresciuta, solo che mi sono fermata a 24 anni. Certe volte mi guardo allo specchio e dico: “Cri, cosa vuoi?” Quando devo rispondere me ne vado».
Di cosa ha paura Cristina D’Avena?
«Del buio. Da quando sono piccola dormo con la lucina. Se mi sveglio, devo sapere dove sono».
La morte che teme di più?
«Quella di mamma».
Le piace sapere che molti la considerano un’icona gay?
«Faccio molti concerti per i gay. Mi vesto da fatina perché loro mi vogliono ancora così. Creamy è un simbolo. Una bambina maschiaccio che con la bacchetta magica si trasforma in prima donna. È l’ideale della trasformazione. Molti di loro sono cresciuti con questa speranza. Quando canto Creamy o Sailor Moon i gay si commuovono».
E lei, invece? Qual è il verso di una sua canzone che la emoziona di più?
«Hai la notte in te, principessa di un regno che non sai dov’è, Hai la luna in te, con la luna vedi sempre dove vai».
E lei dove va?
«Sono sempre qui, nello stesso punto».
Ferma alla sua infanzia?
«Sì, è il luogo più protetto».