Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 18 Venerdì calendario

MENO PAESI CON LA PENA DI MORTE MA PIU’ ESECUZIONI

Lento ma inesorabile va avanti il processo per radicare nella pratica degli Stati il pieno rispetto dei diritti umani fondamentali. E come ogni anno il rapporto di Nessuno tocchi Caino ci aggiorna sull’applicazione della pena di morte nel mondo confermando, anche per il 2013 ed i primi sei mesi del 2014, l’evoluzione positiva verso la sua abolizione grazie in particolare alla moratoria approvata nel 2007 dall’Onu su imput decisivo dell’Italia.
Quest’anno l’associazione di via di Torre Argentina ha conferito il premio abolizionista dell’anno (consegnato da Emma Bonino al ministro degli esteri, Nassirou Bako Arifari) al presidente del Benin, Boni Yayi (nella foto a sinistra), quale personalità che più di ogni altra si è impegnata su questo fronte.
Un fronte che continua ad essere aperto. Aspettano ancora tante battaglie a partire dall’appuntamento in autunno dell’Assemblea generale dell’Onu dove sarà votata la quinta risoluzione per la moratoria della pena di morte. L’obiettivo, su cui per prima l’associazione radicale con il segretario Sergio D’Elia, Marco Pannella, Elisabetta Zamparutti ed Emma Bonino hanno lavorato, è raccogliere l’adesione di più paesi sponsor e più voti.
Impegno questo riconosciuto e apprezzato anche oggi, nella conferenza stampa di presentazione del rapporto, dai messaggi del presidente Napolitano e del ministro degli esteri Mogherini che ha ricordato il sostegno fattivo del governo, confermato anche dalla presenza del sottosegretario agli esteri, Benedetto Della Vedova, alla campagna per la moratoria: alla Farnesina è stato istituita infatti il 1 luglio scorso, in avvio del semestre di presidenza italiana dell’Ue, una task force con Nessuno tocchi Caino e altre ong in raccordo anche con il parlamento «per preparare nel migliore dei modi il terreno per le votazioni sulla nuova risoluzione» che sarà votata a New York in autunno.
D’Elia rivendica il metodo del «dialogo» seguito dall’associazione alla ricerca di «un punto di incontro» con i paesi ponendo come primo obiettivo la moratoria, «anziché urlare “aboliamo la pena di morte”» che non avrebbe certo conseguito i risultati raggiunti.
È così che anno dopo anno si è allungata la lista di paesi che hanno deciso di abolire l’esecuzione capitale per legge o in pratica: oggi sono 161, di questi 100 sono totalmente abolizionisti, 7 solo per crimini ordinari, 6 quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni. Rispetto al 2012, quando erano 40, sono scesi a 37 i paesi che le mantengono (ma nel 2005 erano 54). Ma altri 48 paesi sono abolizionisti di fatto.
Non c’è tempo, comunque, per rallentare il passo. Perché, rispetto alle 3967 del 2012, il numero delle esecuzioni è comunque salito lo scorso anno: sono state 4106, grazie all’Iran e all’Iraq dove sono «triplicate». In termini relativi al numero di abitanti l’Iran conquista il primato di “paese Caino”. «Molti si sono illusi sul cambio di regime, ma le esecuzioni sono aumentate con il nuovo presidente Hassan Rouhani» afferma Sergio D’Elia.
In termini assoluti, invece, la Cina si conferma “paese boia” con 3000 pene di morte applicate, però non va sottovalutato il fatto che, rispetto al 2007, sono il 50 per cento e questo grazie alla grande riforma intervenuta secondo cui l’ultima parola sulle esecuzioni dipende dalla Corte suprema, mentre prima erano definite a livello locale.
Se quindi l’Asia si conferma il continente che pratica di più la pena di morte (4010, il 97,6%), resta il dato negativo relativo alle democrazie liberali: nel 2011 erano solo Usa e Taiwan a mantenere la pena di morte, nel 2012 si aggiungevano Botswana, Giappone e India, nel 2013 anche l’Indonesia. Negli ultimi sei anni, però, negli Usa almeno uno stato all’anno ha adottato la moratoria.
Piuttosto, le difficoltà sempre maggiori a reperire i farmaci mortali sul normale mercato nazionale e internazionale, ha spinto le amministrazioni penitenziarie americane a rivolgersi a laboratori artigianali (Compounding Pharmacies) accompagnate da leggi sulla segretezza che consentono alle amministrazioni penitenziarie di non rispondere a giornalisti, avvocati e associazioni sui nomi dei fornitori e sulle pratiche utilizzate. «Con questo velo di segretezza non si conosce la natura e non si conoscono le reazioni degli stessi farmaci» denuncia D’Elia.