varie, 21 luglio 2014
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 21 LUGLIO 2014
La Corte d’Appello di Milano ha assolto Berlusconi: non è un puttaniere, non è un concussore, non è colpevole di prostituzione minorile né di nient’altro. La sentenza di primo grado – che lo aveva condannato a sette anni di prigione – è stata smantellata. «E con essa il prestigio di Ilda Boccassini, della Procura di Milano, dell’Anm e di una decina almeno di grandi giornali» (Sansonetti) [1].
Riavvolgiamo il nastro per l’ennesima volta. Siamo nel 2010 e Berlusconi è presidente del Consiglio. La notte del 27 maggio viene portata in questura a Milano una ragazza di 17 anni accusata di furto. Non ha documenti e la procedura vuole che venga spedita in comunità. Ma arriva una telefonata di Berlusconi: attenzione, dice ai poliziotti, ci è stato segnalato che questa ragazza è nipote di Mubarak (il presidente egiziano, in quel momento ancora al potere), dunque chiederei di muoversi con prudenza. Verrà la consigliera regionale Nicole Minetti a prendersi cura della giovane. Affidategliela. In questura, nonostante la resistenza del pm di turno, decidono di dar retta al premier e affidano Ruby alla Minetti che poi la lascerà da una prostituta brasiliana. La storia viene fuori e si scopre che Ruby si chiama Karima El Mahroug e ha partecipato, ancora minorenne, alle feste in casa di Berlusconi. È proprio lei a tirar fuori la storia del bunga bunga e a dire che a queste feste c’erano tante ragazze. Ce n’è abbastanza per scatenare Ilda Boccassini, la quale pretende per sé l’inchiesta, va a processo e, esattamente un anno fa, ottiene in primo grado la condanna a sette anni e l’interdizione dai pubblici uffici [2].
In primo grado Berlusconi era stato condannato per concussione perché avrebbe «costretto» un funzionario di polizia a consegnare Ruby a una persona alla quale essa, minorenne, non avrebbe potuto essere consegnata; e per prostituzione minorile perché avrebbe avuto consapevolmente rapporti sessuali con una minorenne. La Corte d’Appello ha assolto l’imputato dalla prima imputazione «perché il fatto non sussiste», dalla seconda imputazione «perché il fatto non costituisce reato» [3].
Ciò significa che secondo i giudici l’intervento di Berlusconi «non ha avuto alcuna valenza “costrittiva” (violenza o minaccia), come esige invece l’art. 317 c.p. che prevede il delitto di concussione (riconosciuto esistente dal giudice di primo grado). La formula assolutoria impiegata per la prostituzione minorile sembra invece lasciare intendere – vedremo, leggendo le motivazioni, se sarà davvero questo il ragionamento seguito – che la Corte di Appello abbia ritenuto che il “fatto”, cioè la relazione dell’imputato con la giovane ragazza, vi sia stato. E che tale relazione non costituisca tuttavia reato (verosimilmente) perché mancava il dolo, cioè la percezione della minore età della sua partner da parte dell’attore maschile» (Grosso) [3].
Sconcerta che il fatto, che ci ha smerdato di fronte al mondo e tormentato per quattro anni, non sussista e non costituisca reato. Sconcerta, soprattutto, vista la personalità del soggetto interessato, che dato il suo passato e il suo presente politico avrebbe avuto diritto, sempre, prima come dopo, alla massima prudenza da parte degli organi di giustizia. Com’è comunque possibile che, con le medesime carte, tre giudici in primo grado condannino a sette anni e tre giudici in secondo grado dichiarino che il fatto non sussiste? [3].
Prima spiegazione. Giorgio Dell’Arti: «Quelli che la sanno lunga dicono: la sentenza è politica, c’è un patto Renzi-Berlusconi-Napolitano, con un bel pacchetto di voti berlusconiani che nei momenti cruciali tiene su il governo e le riforme. In cambio di questo sostegno, Renzi-Napolitano hanno promesso a Berlusconi di risolvere in suo favore i vari grovigli giudiziari. Sta succedendo. Quelli che la sanno lunga, per inciso, sono gli stessi che ogni cinque minuti esaltano l’indipendenza della magistratura» [2].
Seconda spiegazione. In primo grado, Berlusconi s’è fatto difendere da due avvocati politici – Ghedini e Longo – che hanno affrontato il processo con le stesse armi dell’accusa. L’accusa di Boccassini era politica, politicamente Berlusconi ha perso e s’è beccato i sette anni. In secondo grado, Berlusconi s’è fatto difendere da due grandi avvocati penalisti poco innamorati dei loro clienti, cioè Coppi e Dinacci. I due hanno dimenticato la politica e deciso di difendersi «nel» processo portando la faccenda sul piano tecnico. Hanno saputo individuare gli errori dell’accusa, senza tecniche dilatorie e senza negare l’evidenza dei fatti: nessuno ha mai parlato di «cene eleganti», nessuno ha mai messo in dubbio che ad Arcore ci fosse «un puttanaio» [4].
Ci furono le 7 telefonate notturne da parte di Berlusconi e del suo caposcorta al capo di gabinetto della questura per «liberare» Ruby? Sì, ci furono. Ed è vero che all’allora premier stava a cuore la sorte della marocchina perché non voleva si sapesse quello che accadeva ad Arcore? Sì, è vero. È vero che la fece consegnare a Nicole Minetti, la consigliera regionale che gestiva gli appartamenti del suo «harem» in via Olgettina? Sì, non v’è alcun dubbio. E allora perché Berlusconi è stato assolto completamente? Perché un conto sono i fatti «storici», un conto i reati con cui vengono rivestiti. L’avvocato Coppi: «I giudici non potevano fare altrimenti. Non potevano derubricare il reato nella più lieve concussione per induzione perché la Cassazione a sezioni unite ha stabilito che per l’induzione si sarebbe dovuto dimostrare anche un vantaggio per chi aveva risposto alla richiesta di Berlusconi». E fu proprio la procura, con la famosa conferenza stampa di Bruti Liberati, quattro giorni dopo l’iscrizione di Berlusconi sul registro degli indagati, ad escludere che i funzionari della questura avessero ottenuto dei vantaggi [4].
In estrema sintesi: a) una concussione senza concussi resta improbabile; b) è possibile spacciarsi per maggiorenni senza esserlo; c) un rapporto sessuale negato da entrambe le persone interessate, in un’aula di giustizia, non si può dimostrare per teorema [5].
Dunque una sentenza che non cancella solo la colpevolezza di Berlusconi ma manda al macero un’intera biblioteca. Di più, un genere letterario, in bilico fra gossip, veleni e cronaca giudiziaria. Zurlo: «Il bunga bunga era diventato un mondo intero, favoloso e insieme concreto. Perché ambientato nella reggia del sultano, ad Arcore. Le feste, Ruby, i provini e la mitica sala per le esibizioni, una sorta di sancta sanctorum della depravazione berlusconiana. E poi le Olgettine, un genere anche loro, monitorate nel loro rumoroso declino, fra scenate stridule e intercettazioni senza ritegno. Ora tutta questa letteratura si affloscia come un pallone sgonfio e fa impressione, persino sgomento, scoprire che tutto questo mondo non c’è più. Boom. Scoppiato. Sparito. Dissolto» [6].
Però intanto l’attacco ha distrutto per sempre l’immagine di Berlusconi ben oltre i nostri confini e l’ex Cav. è diventato un’unità di misura del degrado, della pornografia facile, dell’intreccio morboso fra peccato e soldi: il vecchio sporcaccione e libidinoso, da cacciare per il bene del Paese da ogni responsabilità. Quest’immagine, pur combattuta da un’agguerrita minoranza, è passata in Italia e altrove ed è servita poi, nel 2011, al momento del grande attacco allo spread, per dare a Berlusconi la spallata finale fra i risolini del duo Merkel-Sarkozy. «Siamo andati avanti per quattro anni, anzi cinque se contiamo l’antefatto di Noemi: anni di corpi senz’anima e di vergogna nazionale. La gogna passava tutti i santi giorni dalle dieci domande formulate da Repubblica: un mantra ossessivo, duplicato da altri fogli e clonato in mezzo mondo, di quesiti in stile inquisitorio che miravano a togliere ogni credibilità al Cavaliere» [6].
Fino al novembre del 2011 quando, anche per la vicenda Ruby, Berlusconi è costretto a dimettersi e quando lascia il Quirinale si vedono scene da 25 aprile: gente che esulta per l’avvenuta Liberazione, per la fine del tiranno, sputi e monetine. E dall’altra parte le accuse di golpe, di complotto europeo, di comunismo nella magistratura. Qualcuno scrive: vedrete che tornerà la stagione delle bombe [7].
Oggi dov’è finita la guerra di religione su Silvio? Nessuno sembra scaldarsi più di tanto. D’altra parte il sondaggista Nicola Piepoli assicura che l’assoluzione, in termine di spostamento di consensi «vale zero», così come zero sarebbe stato in caso di condanna. E dove sono finiti i girotondi e i giustizialisti? E, dall’altra parte, i falchi? Brambilla: «I magistrati non sono più tutti comunisti, anzi “c’è un giudice a Berlino”, come dicono in molti, a partire da Giovanni Toti, il coordinatore che è anche simbolo della fine di una stagione, quella dello scontro frontale. Il Giornale, Libero, Repubblica e Il Fatto Quotidiano titolano tutti praticamente allo stesso modo, neutro: nell’ordine, “Berlusconi assolto”; “Assolto Silvio Berlusconi”; “Ruby, Berlusconi assolto da tutte le accuse”; “Ruby, Berlusconi assolto”. Colpisce quest’ultimo titolo, perché di solito Il Fatto quello là non lo nominava neanche, era “B” e basta, certa gente non ha neanche diritto a un’identità» [7].
Paradossalmente gli unici a rosicare per l’assoluzione sono proprio i falchi di Forza Italia, i più acerrimi accusatori della magistratura: forse sotto sotto speravano in una condanna per spingere il Capo a far saltare il banco, a tornare ai bei tempi degli insulti. Ma un mondo è passato: al posto della Santanché c’è la Pascale, al posto di Ghedini c’è Coppi, e forse l’assoluzione è arrivata anche perché si è scelto di non presentarsi in aula come in trincea. La guerra è finita, dunque. Chi l’ha vinta? «Lo scrittore Robert Harris, nel suo giallo fantapolitico Fatherland, immagina che la seconda guerra mondiale si sia conclusa con una specie di pareggio fra Stati Uniti e Germania, e che ciascuno dei due abbia ottenuto qualcosa e rinunciato a qualcosa d’altro. Ecco, forse è successa una cosa simile» [7].
Note: [1] Piero Sansonetti, il Garantista 19/7; [2] Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 19/7; [3] Carlo Federico Grosso, La Stampa 19/7; [4] Paolo Colonnello, La Stampa 19/7; [5] Filippo Facci, Libero 19/7; [6] Stefano Zurlo, il Giornale 19/7; [7] Michele Brambilla, La Stampa 19/7.