Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 21/7/2014, 21 luglio 2014
ROSSO LOCALE, EMERGENZA NAZIONALE
Dopo lunghi mesi di immobilismo sull’orlo del baratro, Roma ha appena preparato un nuovo piano di rientro, ancora da approvare e soprattutto da attuare, per evitare di ripetere il "fallimento di fatto" già vissuto nel 2008. Intanto ogni mese il pagamento degli stipendi ai 24mila dipendenti del Campidoglio è un film di Hitchcock, perché i contratti sono fuori norma, nessuno sa come rimetterli a posto e le contestazioni per danno erariale sono già partite. Napoli ha appena ottenuto un sofferto via libera al piano anti-dissesto scritto ormai un anno fa e ora da rifare perché nel frattempo tutto è cambiato, ma il suo ultimo bilancio è stato spedito dall’opposizione al Tar che ha accolto la sospensiva: tutto congelato fino a novembre, insomma, quando i giudici decideranno se i conti partenopei sono legittimi o no. Milano sta molto meglio, ma ha appena terminato la lunga maratona della Tasi-Imu e ora lavora a un bilancio preventivo pieno di incognite, mentre il tentativo di "prevenire" il caos romano sul personale ristrutturando gli integrativi della polizia locale si è subito scontrato con il "niet" dei diretti interessati.
Questa è la condizione delle prime tre città italiane, e conosce qua e là per l’Italia infinite repliche anche peggiori, senza scomodare la Reggio Calabria eternamente commissariata o la sua dirimpettaia, Messina, dove 73 fra politici, dirigenti e funzionari sono appena stati messi sotto indagine con l’accusa di aver truccato i conti per "dissimulare" il default. I "casi" più o meno limite rischiano però di nascondere il problema vero: oggi nella finanza locale è la fisiologia a essere patologica, e la produzione incessante di regole spesso contraddittorie rischia di non farne rispettare nessuna.
Agli amministratori, e soprattutto ai ragionieri e ai revisori dei conti che devono ogni giorno sbrogliare questa matassa, può andare un po’ di umana solidarietà, ma il problema è assai più ampio. Se «non esistono soldi pubblici, ma esistono solo i soldi che i contribuenti danno al settore pubblico», come spiegava Margaret Thatcher con felice sintesi, il caos dei conti riguarda prima di tutto gli italiani che ogni anno sborsano 32 miliardi di tasse locali e 6 miliardi abbondanti di tariffe, multe e diritti vari: e siccome parliamo di Comuni, cioè degli enti che più direttamente assicurano i servizi sul territorio, la questione interessa da vicino chi usa le strade, e oltre a prendere multe vede abbandonata la manutenzione, chi cerca un posto all’asilo per il figlio, l’anziano che aspetta l’assistenza, e così via. Il problema, insomma, riguarda tutto, perché tutto si poggia sui bilanci.
E per la finanza locale, le promesse indicano un futuro roseo. La riforma dei bilanci, approvata nel 2011, renderà trasparenti i conti dall’anno prossimo, la riforma della riscossione, annunciata dal 2010, farà ripartire la macchina degli incassi permettendo di alleggerire il conto per i contribuenti onesti e di trattare con più attenzione quelli in difficoltà; i fabbisogni standard, previsti dal 2009, premieranno i migliori e metteranno alla berlina gli spreconi, ed entro tre anni sarà "superato" anche il Patto di stabilità.
Nell’attesa che qualcuna di queste promesse entri in contatto con la realtà, però, la nebbia è sempre più fitta, e come ogni anno si sbriciolano i record di confusione raggiunti l’anno precedente. Il termine per i bilanci preventivi dei Comuni è appena slittato al 30 settembre, certificando nei fatti che una gestione ordinata è impossibile anche per il 2014. Il fondo-Tasi, che dovrebbe aiutare i Comuni a pareggiare i conti con la vecchia Imu e a prevedere detrazioni per i contribuenti più "deboli", deve ancora essere distribuito mentre le delibere arrivano e spesso riservano brutte sorprese anche ai proprietari di abitazione principale. Il primo granello della nuova spending review, cioè i 360 milioni chiesti ai Comuni, si è subito inceppato nella girandola dei criteri di calcolo: le amministrazioni locali hanno dovuto rimandare a Roma tutti i calcoli (paradossalmente su dati che il ministero dell’Economia ha già), e i tagli slittano a settembre. Vista la situazione, la Corte dei conti ha appena detto che così facendo si mettono a rischio gli obblighi europei dell’Italia e il «coordinamento della finanza pubblica», che sarebbe imposto dalla nostra Costituzione. Nell’attesa del futuro disegnato dalle promesse, sono poche le settimane utili per capire se Governo e Parlamento hanno compreso l’allarme.