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 2014  luglio 20 Domenica calendario

LA FARSA DEL CENTRO DI LAMPEDUSA
CHIUSO PER LAVORI E PIENO DI DISPERATI


Che il barometro di Lampedusa segni di nuovo tempesta, a dispetto del cielo turchese e dei turisti sdraiati al sole, lo dice il fatto che l’altro ieri sia riapparsa Angela Maraventano. Lei, la pasionaria leghista, prima vice-sindaco dell’isola e poi senatrice, è tornata ad agitare una malinconica bandiera verde al molo affollato di migranti, sola con un banchetto e un ombrellone. «Per dire no all’invasione». Ma lo dice anche il fatto, d’altro canto, che ieri Stefano Pedica della direzione nazionale del Pd abbia candidato i lampedusani al titolo di Cavalieri della Repubblica, «veri eroi dell’emergenza immigrazione».
Due déjà-vu che raccontano quanto qui, tra il profumo di creme solari e i volti degli albergatori di nuovo distesi grazie al pienone di turisti, torni a serpeggiare lo spettro dell’eterna emergenza. Il 7 luglio le prime avvisaglie, con mille migranti arrivati con i barconi o portati qui dai mezzi di Mare Nostrum. Ieri la seconda ondata, con altri 1.278 eritrei, somali, siriani e pachistani – tra cui 176 donne e 30 bambini – approdati in sette sbarchi diversi e accolti dai medici, dalle Ong, dalle forze di polizia.
Numeri sufficientemente alti per svelare l’ipocrisia di un centro di accoglienza chiuso con gran volare di stracci – ma solo virtualmente - dopo le immagini sul trattamento di massa anti-scabbia riservato ai migranti. Era il dicembre scorso. Ma la vera storia è che il centro è rimasto aperto e che soprattutto, a governarlo, è la stessa cooperativa «Lampedusa accoglienza» contro cui tutti, dal ministro Alfano in giù, puntarono il dito annunciando l’immediata rescissione del contratto con successivo affidamento diretto alla Croce Rossa, senza gara d’appalto.
Tra il dire e il fare, evidentemente, c’è di mezzo il mare. Il mare che, visto da quest’isola, è tanto più grande e insidioso. È andato in fumo il tentativo di far pagare tutte le colpe all’ente gestore. Inutile il tentativo della prefettura di Agrigento di contestare alla «Lampedusa accoglienza» la mancata comunicazione sulle carenze strutturali del Centro, che ogni giorno era sotto i riflettori con le immagini dei migranti accampati all’addiaccio tra padiglioni fatiscenti. La società rispose con una valanga di lettere ed esposti, compresa la richieste di effettuare i lavori di ristrutturazione a proprie spese.
Gioco del cerino troppo pericoloso. Così il centro è rimasto nelle mani della società, seppure ufficialmente chiuso per ristrutturazione fino a settembre. Sì, perché a gennaio sono partiti i lavori nei padiglioni andati in fumo durante la rivolta dei tunisini nel 2011. Cantiere-lumaca, con gli operai che si contano sulle dita di una mano, utile a nascondere più a lungo possibile sotto il tappeto la polvere di una situazione a dir poco imbarazzante. La parola d’ordine è tenere Lampedusa fuori dall’emergenza migranti, ma la geografia non è un’opinione. Il mare brulica di barconi, e così qui si arriva per due strade: o con «carrette» che riescono a sfuggire ai controlli delle navi militari di «Mare Nostrum» (è il caso dei primi 352 disperati arrivati qui l’altro ieri) o proprio su quelle navi, costrette a fare tappa qui per ripartire alla volta dell’ennesima imbarcazione naufragata. 
Il problema è che se l’accoglienza era zoppa prima, adesso cammina sulla sedia a rotelle. Il meccanismo un tempo rodato va riattivato di volta in volta. Pietro Bartolo, responsabile del poliambulatorio, ha ripreso a correre da un punto all’altro dell’isola: «Non ci aspettavamo tutti questi migranti, è in arrivo altro personale in vista di nuovi sbarchi». I40 operatori dell’ente gestore assicurano faticosamente i pasti e i pullman per gli spostamenti. Sono ricominciati i ponti aerei. «È essenziale l’immediato trasferimento dei migranti e soprattutto dei bambini – dice Raffaella Milano, direttore dei Programmi Italia-Europa di Save the Children - poiché il centro non può garantire un’accoglienza in condizioni di sicurezza». Il sindaco Giusi Nicolini torna a chiedere la fine dell’emergenza. «Mare Nostrum funziona benissimo, ma non è la soluzione al problema. Servono un sistema di canali umanitari, un’organizzazione a livello internazionale e una maggiore presenza attiva dell’Europa». E anche questo è un déjà-vu.