Cecilia Attanasio Ghezzi, il Fatto Quotidiano 21/7/2014, 21 luglio 2014
PECHINO DICHIARA GUERRA ALLE BUSTARELLE
C’è un proverbio cinese che recita: «Quando un uomo conquista il potere, i suoi polli e i suoi cani conquistano il paradiso». Tanto più nella Repubblica popolare, dove le più alte gerarchie del Partito coincidono con le più alte cariche statali che a loro volta decidono appalti e organigrammi delle imprese pubbliche. E dove la trasparenza non è praticata, in nessun campo.
“In Cina la corruzione è pervasiva” ci spiega lo storico e giornalista britannico James Palmer. “Se apri una piccola attività, una delle prime cose che devi fare è pagare un funzionario locale. Se hai una piccola agenzia di consulenza, probabilmente dovrai pagare un funzionario di medio livello e, se hai grossi affari, ti troverai direttamente a trattare con funzionali di alto livello. E, quando paghi qualcuno, è perché hai bisogno di protezione”.
Per decenni la vita dei cittadini comuni della Repubblica popolare è stata controllata dal Partito. Per l’assegnazione dell’alloggio, per sposarsi o viaggiare all’interno del paese, bisognava ottenere l’autorizzazione della danwei, ovvero dell’unità di produzione a cui si era assegnati. Questo significava una montagna di certificati. Ancora oggi - quando né il lavoro, né l’alloggio o le cure mediche sono più garantiti - è così. Lo scorso febbraio un funzionario di una regione meridionale, ha conquistato le prime pagine della stampa aprendo di fronte al Comitato permanente locale un rotolo lungo diversi metri. Si trattava di un diagramma che visualizzava i documenti che un cittadino cinese qualsiasi doveva procurarsi nel corso della sua esistenza: 400, di cui 103 di uso frequente.
Cao Zhiwei, il funzionario in questione, ha spiegato che solo per ottenere questi ultimi, bisogna recarsi in 39 uffici diversi, pagare un centinaio di marche da bollo e consegnare una cinquantina di foto tessere. Un percorso pieno di ostacoli che lascia la maggior parte dei cittadini cinesi scoperta di qualche documento. Ovvero ricattabile.
“Se fai affari, lo Stato tenterà sempre di estorcerti soldi”, ci spiega ancora Palmer. “Per questo è naturale pagare qualcuno che ti assicuri protezione. Ci saranno altri che ti avvicineranno ogni due o tre settimane per farsi pagare. Ed è a loro che dovrai dimostrare di essere effettivamente ’protetto’ dall’amministrazione”. Non solo. Zhang Bingjian ci tiene a sottolineare che l’abitudine a corrompere è ancora più comune: “Se vuoi mandare tuo figlio in una buona scuola o semplicemente cerchi un buon ospedale per la tua vecchia madre dovrai pagare qualcuno di nascosto. È una regola non scritta”.
Zhang è un artista e un documentarista che a Pechino si sta misurando con un’opera mastodontica. Vuole ritrarre tutti i funzionari ufficialmente condannati per corruzione. Ha scelto di dipingere solo i loro volti, ma proprio del medesimo colore del taglio più alto delle banconote locali: il rosa.
Ci racconta che una volta ha letto di un maestro che chiedeva agli studenti di una scuola elementare cosa volessero fare da grandi. “C’era chi voleva fare l’ingegnere e chi voleva aprire un negozio. Tra di loro un bambino aveva esclamato: io voglio fare il funzionario corrotto”. E ci spiega il perché. “Il corrotto è ricco e pieno di donne” E continua, scandalizzato: “se un bambino pensa che fare il funzionario corrotto sia una cosa di cui vantarsi, non c’è altro da aggiungere. Abbiamo toccato il fondo”.
La sua opera, che ha intitolato con sarcasmo “la sala delle celebrità”, ha oramai superato i 3mila ritratti. Sono uomini e donne una volta molto potenti: sindaci, segretari di Partito o capiufficio. Oggi alcuni sono in prigione, altri hanno ricevuto la pena capitale e altri ancora sono fuggiti.
Il punto è che nella nuovissima Cina, soldi e frequentazioni regolano sempre di più ogni aspetto della vita sociale. Soprattutto per quelle generazioni nate negli anni Ottanta o dopo. È così che Qiu Xiaolong nell’incipit del suo ultimo giallo sulla corruzione cinese ai tempi di internet (Cyber China, Marsilio, 18) fa descrivere le cosiddette “caratteristiche cinesi” a un professore dell’Accademia delle scienze sociali di Shanghai.
«Nel corso di un reality show i partecipanti discutevano i criteri di scelta in un matrimonio. Una ragazza ha esposto il proprio manifesto: meglio piangere in una Bmw, che ridere in bicicletta. E il messaggio che vi sta dietro è inequivocabile: vuole un marito ricco che le metta a disposizione i lussi materiali, anche se il matrimonio è infelice. Di recente c’è stato il caso di una persona arrestata in stato di ubriachezza alla guida di un’auto. L’accusato gridava ai poliziotti: “Mio padre è Zhang Gang”. Zhang Gang è un alto funzionario del Partito che dirige il locale dipartimento di polizia. Difatti i poliziotti esitavano ad arrestarlo, ma un passante ha registrato la scena con il cellulare e ha messo il filmato in rete. Immediatamente “mio padre è Zhang Gang” è diventato uno slogan virale su internet...». E questi sono casi di cronaca realmente accaduti.
Nella Cina dell’ultimo decennio, con la diffusione degli smartphone e l’esplosione del web 2.0, si è fatta strada un’altra via per denunciare i corrotti. Lo chiamano renrou sousuo, ovvero ’motore di ricerca di carne umana’. In origine era usato per descrivere una ricerca di informazioni svolta da individui in carne e ossa, invece che da computer. Oggi i netizen, lo usano per indicare una sorta di inchiesta collettiva online su personaggi specifici, spesso uomini pubblici o funzionari governativi che si permettono lussi non giustificabili dai loro stipendi. Gli internauti passano al vaglio foto e indizi e condividono le informazioni con l’intenzione di creare un’indignazione popolare tale da rovinare la carriera politica all’oggetto delle loro ricerche.
Non sempre ci riescono e spesso vengono censurati. Ma gli ultimi anni sono stati costellati da scandali, il più delle volte esplosi online. Troppo spesso i funzionari pubblici sfoggiavano articoli di lusso che mai si sarebbero potuti permettere. Il non plus ultra si è raggiunto durante il Congresso che ha incoronato l’attuale leadership. Divennero virali le immagini dei funzionari che, nelle occasioni ufficiali, non portavano più orologi. Sui loro polsi spiccava l’impronta bianca dei rolex evidentemente indossati fino al giorno prima.
Gran parte degli oggetti di lusso acquistati in Cina, infatti, fanno parte delle regalie ai potenti che a loro volta alimentano la corruzione nel mondo degli affari e della politica. Son questi i motivi che hanno portato alla nascita del Movimento dei nuovi cittadini. Tra le varie richieste, quella più pressante era la pubblicazione di redditi e patrimoni dei funzionari. I loro leader, tra cui il noto avvocato per i diritti civili Xu Zhiyong, sono stati processati a gennaio di quest’anno e condannati a diversi anni di reclusione per “disturbo dell’ordine pubblico”.
“La corruzione - ci spiega ancora Zhang Bingjian - è parte integrante di questo momento storico. Se non la tramandiamo, in futuro non avremo strumenti per ricordare”. Ma sembra che nonostante le dichiarazioni ufficiali, l’attuale leadership non abbia alcun interesse affinché il popolo combatta dal basso il cancro che sta corrodendo il paese. Forse perché farlo significherebbe mettersi in discussione.