Sandro Modeo, Corriere della Sera - la Lettura 20/7/2014, 20 luglio 2014
MICROBI E GALASSIE, CHE VITACCIA
Negli accessi remoti della Terra si nascondono organismi e microrganismi (per lo più batteri, ma anche microbi, funghi e alghe) capaci di adattarsi a condizioni ambientali proibitive: alle temperature altissime delle bocche vulcaniche, a quelle siderali dei ghiacci polari, a pressioni immani, a contesti iper-acidi, iper-salini o totalmente aridi. L’esempio sintesi — anche per la morfologia da avventori del pub di Star Wars in micro: otto zampe, unghie retrattili, copertura chitinosa — sono i prodigiosi tardigradi, che sopravvivono a escursioni monstre (dalla prossimità ai -273 ° dello zero assoluto ai 150°C, anche se per pochi minuti), a pressioni sei volte quelle dell’oceano profondo, alla mancanza di ossigeno e a radiazioni letali per qualunque altra specie. Classificati come «estremofili», tutti questi micro freaks sono studiati sia per la loro incidenza nella catena filogenetica (in quanto antenati comuni di organismi mono e pluricellulari), sia per certe anomalie strutturali-funzionali (riproduzione senza Dna, assenza di metabolismo, stringhe biochimiche meno fragili delle proteine) che ne fanno intravedere molte applicazioni concrete, specie in ambito farmacologico, col possibile impiego di enzimi capaci di rendere più economici ed efficienti certi processi biochimici.
Eppure, per quanto possano spingere al limite le facoltà adattative, anche gli estremofili si muovono, nutrono e riproducono entro i vincoli astrofisico-climatici del nostro pianeta, dal fluttuare delle radiazioni solari a un mix di campo magnetico ed effetto-serra che trattiene l’acqua e il suo ciclo (a differenza di Venere o Marte, che hanno perso oceani e atmosfere). E se non si può escludere la presenza di condizioni e cocktail chimici simili altrove (a partire dai tanti esopianeti simil-terrestri fuori dal sistema solare o dalla Via Lattea) o che si possano sviluppare adattamenti in pianeti con cocktail diversi, siamo al momento — come mostra David Toomey in Weird Life, («Vita eccentrica») — in una dimensione teorico-ipotetica (vedi i discussi nanobatteri marziani) o addirittura ipotetico-fantastica, con sequenze che vanno dai «galleggiatori» medusei nella stratosfera di Giove all’esoluna di Pandora in Avatar , con la sua flora-fauna iridescente dovuta a radiazioni di luce (lunghezze d’onda) molto diverse dalle nostre.
In realtà, se usciamo dall’equilibrio insieme tenace e precario della Terra come «isola» cosmica, vediamo come l’universo osservabile — dalle regioni prossime alle più remote — sia tendenzialmente inadatto alla vita organica, fitto di eventi e proprietà molto più estremi dei contesti degli estremofili. Per verificarlo basta seguire l’astrofisico australiano Bryan Gaensler in un viaggio (Universo da capogiro , ma in originale proprio Extreme Cosmos ) lungo i vertici di dieci categorie della materia: temperatura, luce, tempo, dimensioni, velocità, massa, suono, elettromagnetismo, gravità e densità, il tutto tenendo presente la provvisorietà dei dati e delle sequenze (in un paesaggio cosmico altamente dinamico e per il 60% inesplorato) e prendendo spesso a comparazione le misure familiari della Terra, del Sole e dei nostri tecno-strumenti.
È un paesaggio in cui ogni sequenza sfida le nostre possibilità immaginative: nuclei di supernove in fusione a 5 miliardi di gradi (quello solare è a 15 milioni); ammassi globulari dalla radiance immensa (Omega Centauri con le sue mille stelle), ma fiochi rispetto a esplosioni di raggi gamma 100 o 1.000 volte più luminose; aspettative di vita astrale minime (i 10 milioni di anni di Betelgeuse) e interminabili (nane rosse fino a un trilione di anni); oggetti cosmici pigmei (pianeti nani, comete e asteroidi) e altri titanici (dalla supergigante UY Scuti — che sta al Sole come un pallone di basket a un acaro — all’agglomerato plurigalattico LQG U1.27 nel Leone, diametro di 4 miliardi di anni luce); raggi cosmici di protoni e altre particelle (vicini ai 300.000 km/s della luce) che rimpiccioliscono i nostri prodigi aerospaziali (l’Apollo 10 a 39.000 km/h). Quanto alle categorie restanti, gli estremi sono monopolio delle pulsar (che ruotano su se stesse fino a 716 volte al secondo) e soprattutto dei buchi neri: così a livello di massa, con buchi neri supermassivi 40 miliardi di volte il Sole; di densità e gravità, coi livelli della prima più importanti della massa nel determinare la seconda, come nel «piccolo» buco nero GRO JO422+32 (1,2 miliardi di tonnellate per cm³ e una gravità parossistica); e di elettromagnetismo, con la Z Machine (generatore di raggi X fino a 70 milioni di ampere) che fa tenerezza rispetto al trilione di milioni di ampere sprigionato ogni millisecondo da radio-galassie emerse dagli scontri tra buchi neri e nebulose (tanta energia da soddisfare i bisogni della Terra per 20 milioni di anni).
Ma Gaensler, va da sé, procede ben oltre il regesto virtuosistico di oggetti-agglomerati con nomi da codice Iban. Per un verso, colloca i fenomeni estremi in più vaste dinamiche astrofisiche: l’insinuante capitolo sul suono, per esempio, si traduce in una crono-storia acustica dell’universo, con la «sinfonia» dei primi 380.000 anni (culminata in una nota di fondo 54 ottave sotto il Do centrale) seguita da un’espansione-raffreddamento nel silenzio assoluto, fino a quando lo scremarsi delle prime strutture dai collassi gassosi (stelle e galassie) ha fatto riemergere — con la luce — suoni come quelli delle esplosioni di supernove (a 330 decibel, tre volte un concerto rock). Per un altro verso, sottolinea passaggi contro intuitivi e implicazioni concettuali, configurando un cosmo in cui il firmamento appare sempre «in differita» per il tempo impiegato dalla luce a trasmettere l’immagine di un corpo osservato (un secondo per la Luna, 8 minuti per il Sole) e in cui il vuoto è solo una (estrema) rarefazione della materia, molto più estrema che in impalpabili galassie binarie come Napoleone e Giuseppina, dove la gravità è 900 milioni di volte inferiore a quella di una mela che cade da un albero, e un sasso impiegherebbe 50.000 anni per spostarsi a 2 centimetri al secondo.
Alla fine, gli adattamenti degli «estremofili» del micromondo (con connessioni cellulari sull’orlo dell’esplosione-disgregazione dell’organismo) e gli eventi o stati estremi dei corpi cosmici (dove l’esplosione-disgregazione è la norma, vedi ancora le supernove) sembrano applicazioni a diversa scala di una comune proprietà intrinseca della materia: in fondo, il ciclo vitale di un tardigrado e quello di una stella (nascita, sviluppo e morte) si somigliano. Anche se non bisogna mai dimenticare che questo è il (legittimo) punto di vista della nostra specola antropomorfa: che tutti i processi di creazione e distruzione (a volte sovrapposti, come nel cannibalismo tra buchi neri o nelle fusioni galattiche) sono solo processi di incessante trasformazione.