Sergio Romano, Corriere della Sera 20/7/2014, 20 luglio 2014
PUTIN E IL COMUNISMO CONTINUITÀ DELLA STORIA RUSSA
Nell’editoriale dell’ultimo numero di Limes dedicato alla Grande guerra mi ha colpito la lettura della seguente frase: «L’Unione Sovietica è per Putin quel che il fascismo fu per Croce: una invasione degli hyksos. Parentesi da cancellare». Mi piacerebbe conoscere la sua opinione in merito alle, quindi, similari convinzioni di queste due autorevoli personalità del presente e del passato. Convinto come sono, e mi perdoni la presunzione, che in verità anche la storia, come la natura, non faccia mai «salti»! E, poi, chi erano questi hyksos ?
Mario Taliani
Caro Taliani,
Gli hyksos sono una popolazione straniera giunta probabilmente in Egitto verso la fine del Medio Regno e scomparsa dopo avere dominato il Paese per qualche generazione. Ma le loro gesta sono avvolte nella nebbia della storia antica e la loro notorietà è dovuta principalmente alla frase di Benedetto Croce citata nella sua lettera. Con quelle parole Croce intendeva dire che il fascismo era un corpo estraneo alla storia della nazione italiana, un incidente di percorso da cui il Paese si sarebbe risollevato per riprendere il promettente cammino iniziato sin dai primi segni di risveglio nazionale nella seconda metà del Settecento. La sua tesi era molto discutibile per l’Italia e sarebbe discutibile anche per la Russia se questa fosse davvero la convinzione di Vladimir Putin.
Non credo che il presidente russo voglia e possa cancellare il periodo comunista dalla storia nazionale con un tratto di penna. Il comunismo si è imposto con la forza, ma ha conquistato, soprattutto in alcuni momenti, gli animi di una larga parte della società. Stalin è stato un brutale tiranno, ma ha incarnato l’orgoglio nazionale e portato i suoi popoli alla vittoria durante la Seconda guerra mondiale. Le lacrime versate in occasione della sua morte, in Russia e altrove, non erano insincere. Il termine di riferimento per chi voglia giudicare complessivamente il periodo sovietico non è la democrazia occidentale con le sue grandi conquiste. È il periodo zarista con le sue enormi piaghe: l’analfabetismo, la povertà, l’arretratezza, la condizione servile dei ceti sociali più umili.
Rispetto al passato comunista, Putin ha adottato una posizione volutamente ambigua. Troppo realista per manifestare occasionali sentimenti di nostalgia, ha cercato tuttavia di evitare qualsiasi ostentata condanna del passato. Ha lasciato che il mausoleo di Lenin restasse sulla piazza Rossa e che molte delle statue erette in suo onore continuassero a ornare le piazze delle città russe. Ha vigilato sui manuali scolastici per evitare che dessero del Paese una rappresentazione conflittuale. Non ha fatto alcunché per scoraggiare un rinascente culto di Stalin. Credo che questa tattica, caro Taliani, nasconda una legittima preoccupazione. Putin non vuole un dibattito nazionale simile a quelli dei maggiori Paesi europei — Francia, Germania, Italia, Spagna — che sono tornati alla democrazia dopo avere fatto esperienze autoritarie o totalitarie. Non lo vuole perché sa che nel Paese delle purghe, del Gulag, delle pulizie etniche e delle carestie provocate dalla politica agricola del regime, il dibattito rischierebbe di trascinare il Paese sull’orlo di una pericolosa rottura. Putin ricorda che il regime comunista nacque da due anni di guerra civile fra Rossi e Bianchi. Non vuole che la sua morte sia la causa di una nuova guerra civile.