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 2014  luglio 20 Domenica calendario

IL SOVRANO CHE UNÌ EST E OVEST


Un prezioso manoscritto posseduto dalla biblioteca Bodleiana di Oxford (segnatura: Bodley 264) raccoglie intenzionalmente e non per casualità miscellanea tre scritti che paiono, a ben vedere, dialogare tra loro. Il pregio del manoscritto è, tra l’altro, legato alle miniature raffinate e largamente intessute di oro zecchino che adornano il testo da un capo all’altro. Il facsimile, realizzato a regola d’arte per cura dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, è corredato da un volume la cui maggior parte illustra dal punto di vista storico-artistico le miniature. Ma qui conviene trattare dei tre scritti compresi nel manufatto, realizzato tra il 1338 e il 1410. Essi sono nell’ordine: il Romanzo di Alessandro in antico francese, redatto da Alexandre de Bernay, il cosiddetto Alessandro e Dindimo (in antico inglese) consistente in cinque lettere scambiate tra i due, e infine il resoconto di viaggi di Marco Polo, anch’esso in antico francese e col titolo Li Livres du Graunt Caam . Vedremo nel seguito cosa possa accomunare i tre testi, ma prima conviene soffermarsi su quel fenomeno senza confini che è stato il mito di Alessandro.
Il punto di partenza è il regno relativamente breve (circa 13 anni) di un sovrano, Alessandro, morto a 33 anni, subentrato al padre Filippo la cui liquidazione fisica ha a che fare con la ferrea volontà di Olimpiade, madre di Alessandro, sovrana dai metodi piuttosto spicci. Una meteora storica. Un suo disistimatore che era anche il maggior politico ateniese del tempo, Demostene, lo definiva in termini sprezzanti, quando seppe che men che ventenne era salito al trono: «il Margite».
Alessandro fece capire subito con chi avversari ed amici avevano a che fare. Alle città greche che, approfittando della morte di Filippo, rimettevano in discussione il patto di subalterna alleanza con la Macedonia, Alessandro rispose distruggendo dalle fondamenta la città di Tebe e rivelando con ciò prontamente la propria natura di despota terrorista. Rimessa in ginocchio la Grecia, riprese il progetto paterno di attacco all’impero persiano. Con una campagna fulminante, non senza una diversione in Egitto, colpì al cuore il più grande impero territoriale, l’impero persiano, che per secoli aveva dominato la politica del Mediterraneo orientale e regolato con cinismo realpolitico tutta la politica greca. La conquista della Persia aprì ad Alessandro la strada dell’Oriente ed egli si spinse fino al fiume Indo, ma anche, verso nord, fino alla odierna Kandahar. Impose all’élite greco-macedone matrimoni misti con l’élite persiana; impose ai Greci il cerimoniale orientale; represse con violenza inaudita congiure vere o immaginarie, miranti a fermare il suo «folle volo» e il suo potere dispotico; in circostanze oscure, raccontate dalle fonti in modi molto diversi e contrastanti tra loro, trovò la morte quando già serpeggiavano nel suo esercito segni sempre più evidenti di scontento contro la pretesa di proseguire la marcia verso Oriente senza mai fermarsi. Una delle fantasiose versioni sulla sua morte pretendeva che lo avesse fatto avvelenare Aristotele.
Il suo impero multinazionale a direzione greco-iranica si sfasciò molto rapidamente dopo la sua morte improvvisa e precoce; allo stesso modo nel secolo XV la morte di Tamerlano comportò il disintegrarsi dell’altrettanto improvvisato e gigantesco impero. La storia dei regni ellenistici sorti dalla disintegrazione dell’impero di Alessandro fu una storia di guerre continue, di alleanze intercambiabili, ma anche di grandi rivalità culturali e di consolidamento del predominio greco-macedone come ceto dirigente in un’area vastissima dall’Afghanistan al confine orientale della Persia, all’Egitto, alla Cirenaica, alla Penisola balcanica. Sviluppando una intuizione che fu del grande Niebuhr, e fraintendendo un celebre passo degli Atti degli Apostoli , Johann Gustav Droysen chiamò «Ellenismo» la mescolanza di civiltà risultante dalla conquista di Alessandro. La prima stesura dell’Alessandro di Droysen, scritta quando il giovane studioso e istitutore privato in casa Mendelssohn era all’incirca trentenne, è un inno al ruolo epocale del sovrano macedone come fattore di storia e creatore di civiltà. Nella visione droyseniana i tre secoli che intercorrono tra la formazione dell’impero di Alessandro e la fine dell’ultimo regno ellenistico (l’Egitto) a opera di Augusto, non solo costituiscono una delle più grandi epoche della storia umana — invece il classicismo tradizionale li considerava secoli di decadenza — ma rappresentano la lunga preparazione dell’avvento del Cristianesimo. Le triadi storiche dell’hegelismo (in questo caso: Età classica, Ellenismo, Cristianesimo, sintesi e superamento quest’ultimo delle fasi precedenti) traspaiono con tutta evidenza in questa generosa e largamente fantasiosa visione della storia.
Ma fino a che punto si trattò, nel caso delle imprese di Alessandro, di un incontro tra civiltà? Il mito di Alessandro, la leggenda di Alessandro, il romanzo di Alessandro si espandono nel tempo e nello spazio in ogni direzione. Ognuno può pescarvi l’elemento che ritiene più significativo. Per esempio: la spinta a dilatare, come scrisse Seneca retore, i confini del mondo, l’illusione di dar vita a un impero universale, l’intuizione di un potere senza limiti, l’impulso a raccolte scientifiche di carattere totale (gli animali rari a beneficio del Liceo di Aristotele, maestro di Alessandro, la riscoperta della biblioteca di Ninive, archetipo della grande biblioteca di Alessandria, realizzata poi dai Tolomei al fine di raccogliere in un solo luogo tutti i libri del mondo etc.). C’è però anche un Alessandro raffigurato con tratti realistici nella sua ferocia barbarica di sovrano incapace di freni: il massacratore di Callistene, nipote di Aristotele, e suo seguace nelle imprese d’Asia, sol perché sospettato di aver fatto parte della cosiddetta congiura dei paggi. La tradizione filosofica, da Teofrasto, scolaro diretto di Aristotele, a Seneca e oltre, non perdonò mai il feroce trattamento inflitto a Callistene, progressivamente mutilato e lasciato sbranare in una gabbia da un leone.
Non è dunque senza ragione che, nel manoscritto Bodley 264, al Romanzo di Alessandro faccia seguito un sapiente correttivo: lo scambio epistolare tra Alessandro e il sovrano indiano dei Bragmani, Dindimo, incentrato sulla contrapposizione tra la civiltà occidentale violenta e materialistica rappresentata da Alessandro, e lo stile di vita pacifico essenzialmente spirituale e in armonia con la natura rappresentato da Dindimo.
Ed ecco perché il terzo testo compreso nel manoscritto, il fantasioso ma forse in parte veridico racconto di Marco Polo sui 17 e passa anni da lui trascorsi nella Cina del Khan Kublai, fa da coronamento a questo trittico, a tutto vantaggio di un mondo, quello appunto dell’Oriente, non soltanto altamente civilizzato ma anche animato dal desiderio di conoscere l’Occidente. Non a caso il racconto di Marco Polo si apre con l’iniziativa del sovrano della Cina che manda a Occidente i congiunti di Marco Polo perché chiedano al Papa di Roma l’invio in Cina di alcuni saggi, maestri di sapienza, che contribuiscano a far meglio conoscere in Cina i fondamenti del Cristianesimo. Vien da pensare a un antecedente remotissimo: la lettera di Aristea, sorta nella diaspora ebraica di Alessandria, che narra dell’invio a Gerusalemme di una delegazione tolemaica con la richiesta al Gran sacerdote di Gerusalemme di spedire alcuni saggi incaricati di attuare, in Alessandria, la traduzione in greco del Pentateuco . E viene in mente anche la vicenda straordinaria di un impareggiabile scienziato gesuita come Matteo Ricci che tanto a lungo si trattenne in Cina per diffondervi la conoscenza del Cristianesimo da assimilare lui il Confucianesimo e cadere in sospetto di eresia agli occhi di Roma.
Alessandro rappresenta la conquista e la violenza, questi grandi viaggiatori rappresentarono e inverarono la mescolanza di civiltà.