Sergio Rizzo, Corriere della Sera 20/7/2014, 20 luglio 2014
DALLA SCUOLA AGLI ORDINI PROFESSIONALI I CREDITI, NUOVA OSSESSIONE NAZIONALE
Proprio vero: tutto parte dalla scuola. Nel bene come nel male. Compresa questa insensata febbre dei crediti che ha investito ormai l’intera società.
La maturità di uno studente di scuola media superiore non si misura con i voti, ma con i crediti. Per uscire dal liceo ne servono almeno 60. Una parte di essi si porta in dote all’esame già dalla normale attività scolastica. Ma si possono accumulare anche con un torneo di pallavolo, un corso di teatro, un’attività di volontariato. Tutto ovviamente certificato. Passi che in qualche caso una bella schiacciata certificata può essere determinante per la promozione. Mens sana in corpore sana: non lo sostenevano forse gli antichi?
Ma se nella scuola media quei crediti speciali possono rivelarsi un aiutino fondamentale, nell’università sono stati soprattutto una manna per i professori. È grazie al passaggio al meccanismo dei crediti che si sono moltiplicati a dismisura gli insegnamenti, gli esami, i libri di testo, i professori a contratto. Aprendo così la strada a piccoli e grandi favoritismi, senza peraltro migliorare la qualità degli atenei. Anzi.
In cambio, però, si sono dischiusi scenari meravigliosi. Francesco Margiocco ha raccontato sul Secolo XIX che l’università telematica Unipegaso ha ingaggiato un docente d’eccezione per il corso intitolato «La politica 2.0»: l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è in buonissima compagnia. Con lui ci sono l’ex segretario generale della Farnesina Umberto Vattani, il presidente del Consiglio provinciale di Napoli Luigi Rispoli nonché il direttore di Panorama Giorgio Mulè. C’è solo un problemino, ricorda Margiocco: condannato in via definitiva a quattro anni per frode fiscale e interdetto per due dai pubblici uffici, Berlusconi potrà insegnare? Per il resto, c’è da leccarsi i baffi: al costo di 650 euro si possono incamerare 60 crediti. Un anno di università. Mica male, no?
Ma almeno qui si devono seguire delle lezioni. Nel recente passato, invece, la deriva creditizia aveva raggiunto proporzioni deliranti. Il tutto grazie a convenzioni con ordini professionali, istituzioni pubbliche e sindacati stipulate al grido di battaglia: “laureare l’esperienza!”. Poteva forse l’Università di Siena non riconoscere ai marescialli dei carabinieri reduci da un corso di formazione interno all’Arma 124 crediti, dei 148 necessari a prendere la laurea triennale in Scienza dell’amministrazione? In una sola sessione si laurearono in 1.897. E poteva forse l’Università Kore di Enna rifiutare 76 crediti agli agenti di polizia, 106 ai sovrintendenti e 127 agli ispettori? Ma niente in confronto alla Parthenope di Napoli, che arrivò a siglare con la Uil della Campania un accordo per riconoscere fino a 60 crediti (un anno di studi) agli iscritti del sindacato. Intesa simile a quella fra l’Università di Messina e la Cisl. Come pure a quelle prodotte dai vari atenei telematici spuntati come i funghi durante la gestione ministeriale di Letizia Moratti. Convenzioni con la Ugl enti pubblici, l’associazione romana vigili urbani, l’associazione dipendenti del ministero dell’Interno, il centro formazione professionale Enti padri trinitari...
L’Italia si scoprì in un battibaleno la patria dei geni, con le università che sfornavano laureati «precoci» a più non posso. Mentre le occasioni per mettersi in tasca crediti fioccavano nei modi più singolari. E in qualche caso continuano ancora a fioccare, anche se non più così copiosamente. Due anni fa è stata fatta una simulazione di esproprio di un terreno per i lavori della Tav in Val di Susa, con poliziotti simulati, manifestanti simulati, notai simulati. Faceva parte di un corso di «alta formazione» e chi c’era guadagnò crediti per la facoltà di Scienza della formazione dell’Università di Genova.
Per non parlare dei giornalisti. Nove università, a partire da quella di Cassino-Sora, avevano aderito al progetto «laureare l’esperienza» del nostro Ordine. Grazie al quale i giornalisti non laureati avrebbero potuto iscriversi direttamente al terzo anno di università usufruendo di uno sconto fino a 96 crediti per i professionisti e 72 per i pubblicisti. Semplicemente demenziale la lista dei bonus di partenza: 10 crediti regalati ai direttori, 8 ai capiredattori, 4 ai redattori e agli editorialisti. Ma non gratuita: per avviare la pratica si pagavano 222 euro di diritti di segreteria a una società privata di proprietà del capo delle relazioni esterne di un’azienda del gruppo Poste italiane. L’odorino che emanava questa faccenda non era proprio gradevole, e il progetto andò mestamente spegnendosi, non senza un piccolo strascico di neodottori giornalisti.
La persecuzione del crediti, però, non è cessata affatto. E da facoltativa che era è diventata obbligatoria. Ci ha pensato un provvedimento assurdo che con la motivazione della formazione continua ha imposto ai giornalisti a partire dal 2014 di racimolare 60 crediti per ogni triennio. Motivazione forse serie, applicazione molto meno. La dimostrazione? I crediti si possono accumulare fra l’altro, dice il regolamento dell’Ordine, con «l’insegnamento di discipline riguardanti la professione giornalistica» e con la frequenza di corsi, seminari e master «anche in qualità di relatore». Per capirci, incassa i crediti tanto il formato quanto il formatore. Non è uno scherzo. E sapete che cosa succede a chi non riesce a raggiungere la fatidica quota 60? «Il mancato assolvimento dell’obbligo è ostativo all’attribuzione di incarichi a qualsiasi titolo deliberati dal Consiglio nazionale».
Si potrebbe dunque rinunciare alla gara dei crediti senza troppi rimpianti. Ma non siamo così ingenui da ignorare i riflessi che il nuovo business della formazione giornalistica potrà far sorgere. Come del resto è già avvenuto per altre professioni sottoposte per legge ad analogo obbligo. Talvolta a prezzi davvero stracciati. Un esempio? Per 100 euro l’Associazione italiana avvocati garantisce 25 crediti formativi. L’annuncio si trova su Internet.