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 2014  luglio 20 Domenica calendario

I FATTI, IL DIRITTO: COSÌ È NATA L’ASSOLUZIONE MA LA PROCURA VA AVANTI SUL «RUBY TER»


MILANO — La Procura di Milano ha chiesto la proroga delle indagini a carico di Silvio Berlusconi e dei suoi difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo per l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari, e della trentina di testimoni segnalati dai giudici di primo grado per l’ipotesi di falsa testimonianza nelle deposizioni in Tribunale del processo Ruby. La richiesta reca la data di pochi giorni fa, prima del verdetto che l’altro ieri in Appello ha cancellato i 7 anni inflitti in primo grado a Berlusconi, perché in quei giorni stavano scadendo i primi 6 mesi di indagine. E del resto il fascicolo, di cui sono titolari il capo del pool reati sessuali Piero Forno e il suo pm Luca Gaglio, resta indipendente dalla sentenza di venerdì, posto che deve accertare se l’imputato, adesso assolto dalla concussione e prostituzione minorile, all’epoca delle udienze avesse corrotto le testimoni perché tacessero la verità o dicessero il falso sulle serate ad Arcore.
Fede-Mora-Minetti . Allo stesso modo l’assoluzione di Berlusconi non sposta granché nell’altro giudizio in Appello da ottobre su Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti: saranno infatti condannati di nuovo o assolti dalla differente accusa di aver convogliato ad Arcore prostitute maggiorenni, mentre sulla minore età di Ruby la posizione di Fede e Mora è ben più esposta di quella di Berlusconi.
Prostituzione minorile . L’ex premier, infatti, è stato assolto «perché il fatto non costituisce reato»: formula che lascia cioè intendere che per i giudici il fatto (gli atti sessuali a pagamento con Ruby nel 2010) sia esistito, ma che nell’imputato mancasse l’elemento psicologico che avrebbe reso illecita quella condotta, cioè la consapevolezza che avesse 17 anni e mezzo. Ignoranza che, a parità di condotta, solo dalla fine del 2012 è diventata (quasi) inescusabile in base alla Convenzione di Lanzarote.
Concussione . Una telefonata era alla base della contestata concussione del capo di gabinetto della Questura di Milano Piero Ostuni il 27 maggio 2010: la mezzanotte in cui l’allora premier, allertato da una prostituta brasiliana che possedeva il suo cellulare, chiamò da Parigi Ostuni per dire che c’era una ragazza senza documenti in Questura, che gli era stata segnalata come nipote di Mubarak, e che per scongiurare un incidente diplomatico con l’Egitto e accelerare le procedure di identificazione sarebbe subito arrivata a prenderla in affido la consigliera ministeriale (in realtà consigliera regionale nonché tenutaria delle necessità logistiche delle ragazze delle notti di Arcore) Nicole Minetti. Telefonata alla quale, mentre nella notte il caposcorta di Berlusconi chiamava la Questura altre 7 volte per sincerarsi dell’esito, faceva seguito una tempesta di telefonate di Ostuni alla funzionaria di turno Giorgia Iafrate, che alle 2 (prima ancora di ricevere formalmente i documenti di identità) affidò la ragazza non a una comunità (secondo la pm minorile Annamaria Fiorillo in difformità dalle proprie direttive) ma a Minetti, la quale subito la mollò di nuovo a casa della prostituta brasiliana che aveva allertato il premier.
All’inizio dell’inchiesta la concussione puniva il pubblico ufficiale sia che costringe sia che induce qualcuno a dargli o promettergli indebitamente una qualche utilità. Alla fine del processo di primo grado, nel 2013 la presidente Turri chiese alle parti di interloquire sulla legge Severino, che a fine 2012 aveva lasciato nella concussione la sola costrizione, e creato invece un nuovo reato per l’induzione indebita: la Procura optò per l’induzione, il Tribunale condannò per concussione.
No minaccia e no induzione . Ora però la Corte d’Appello assolve Berlusconi «perché il fatto non sussiste», dunque esclude sia che la telefonata di Berlusconi avesse contenuto penalmente rilevante di minaccia costrittiva inesorabile, tale da mettere la persona spalle al muro e senza alternative, sia che integrasse una induzione indebita per la quale l’ex premier sarebbe stato condannato lo stesso ma a una pena più bassa. Qui in teoria, in attesa delle motivazioni fra 3 mesi, si aprono due sottoscenari. La Corte può aver troncato di netto la questione ritenendo che la telefonata nemmeno avesse carattere di induzione, e fosse solo una sorta di raccomandazione alla quale il poliziotto per eccesso di zelo avrebbe autonomamente fatto seguire una frenetica attività sfociata proprio nell’esito gradito al premier: «Se ha avuto timore reverenziale del premier e magari ha pure pensato di compiacerlo, questi — asseriva Coppi — sono fatti suoi, non ricollegabili a una pressione di Berlusconi». Oppure la Corte può aver ravvisato una induzione ma ritenuto di trovarsi nell’impossibilità di sanzionarla (dopo la legge Severino) per mancanza di un concreto indebito vantaggio prospettato dalla telefonata del premier al poliziotto Ostuni.
Milita per la prima e più secca opzione non soltanto l’andamento della discussione tra la difesa e il pg de Petris, che propugnava la concussione perché a suo avviso proprio l’abbagliante falsità del premier sulla parentela con Mubarak fu la cifra dell’intimidazione al poliziotto, ma pure qui la formula dell’assoluzione «il fatto non sussiste»: ove infatti i giudici avessero ravvisato una induzione amputata però di un elemento costituivo dal cambio di legge Severino, più plausibilmente avrebbero forse indicato nel dispositivo di stare assolvendo Berlusconi «perché il fatto» della telefonata, contestato come concussione dall’imputazione ed eventualmente riqualificato dalla Corte come induzione indebita, «non è più previsto dalla legge come reato» a causa della mancanza (nel caso di specie) del sopraggiunto elemento costitutivo dell’«indebito vantaggio» per il soggetto (Ostuni) indotto dal pubblico ufficiale Berlusconi.