Otello Lupacchini, Il Tempo 20/7/2014, 20 luglio 2014
DA TURATELLO AL COVO DI MORO, I MISTERI DEL NERO FORMISANO
Con un esposto presentato alla Procura di Roma, il 10 febbraio 1979, Bettino Craxi, segretario del Psi, riferisce una strana voce: secondo indiscrezioni circolanti a Milano e attribuite a "tale Filogamo", lui sarebbe nel mirino per atti di violenza. Tra coloro che il segretario del Garofano indica nel ruolo d’istigatori, un "certo Formisano, difensore di Turatello". Stando sempre alle stesse voci, si legge ancora nell’esposto, "Filogamo aveva collaborato in operazioni antiterrorismo con la polizia, facendo scoprire una macchina con armi a Milano".
Il "Filogamo" che, stando all’esposto, avrebbe messo in giro quelle poco rassicuranti "indiscrezioni", sarebbe stato il boss della malavita milanese Alfredo Ugo Filocamo, persona tutt’altro che sconosciuta al segretario socialista, se è vero quanto Patrizia Piccolo, "valletta" presso le bische clandestine milanesi, riconducibili a Francesco "Francis" Turatello e ad Angelo Epaminonda (detto "il Tebano") racconterà, nel 1980, ai magistrati: «Tra le persone che ho visto giocare a chemin de fer in corso Sempione al Circolo Amici della pittura, ai dicembre 1978, c’è Bettino Craxi. Due volte venne insieme a Ugo Filocamo. Ricordo che erano molto in confidenza fra loro tanto che si davano del tu. E ricordo che Craxi lo chiamava con il nome di Ughetto. Ricordo che entrambi giocavano a chemin de fer e ho sempre visto l’onorevole Craxi perdere. Una volta che giocava con una persona che chiamava "avvocato" perse circa 60 milioni. Un paio di volte in cucina consumò due pasti assieme a Ugo Filocamo". Di smentire la dipendente si sarebbe comunque incaricato "il Tebano".
Al giudice Sica, il 14.2.79, Craxi spiega: "Già a dicembre ’78 avevo sentito voci di possibili attentati contro di me (…). Mi sono cominciato a preoccupare quando ho saputo che questo Filocamo era legato alla malavita milanese e che Formisano aveva avuto colloqui in carcere con Turatello".
All’esito di un processo nato da una relazione di servizio di Claudio Vitalone, l’autorità giudiziaria milanese accerterà che si era trattato di una messinscena montata oltre che da Alfredo Ugo Filocamo anche da Edoardo Formisano: i due, intenzionati a guadagnarsi benemerenze presso la polizia e a risollevare le sorti di Francis Turatello, accusato di concorso nella rapina alla Stefer di Roma, qualche tempo prima che Craxi si presentasse al magistrato, avevano fatto ritrovare a Milano, un’Autobianchi carica di armi. Sull’auto-arsenale l’allora capo della Mobile di Roma Masone, rinvenne anche una lancia termica per entrare in casa Craxi, e 250 proiettili dello stesso tipo di quelli usati dalla banda Turatello per l’assalto al circolo Brera Bridge. Nei saloni di questo circolo, la notte fra il 27 e il 28 novembre 1976, aveva fatto irruzione un gruppo di bandit. Gettata una bomba dentro la roulette e chiamato il banco, ai giocatori terrorizzati venne detto: «Se non volete essere rapinati, anziché giocare qui, giocate al circolo Amici della Pittura, in corso Sempione!», una delle sale da gioco di Turatello, la cui serata al Brera Bridge s’era conclusa con l’estorsione di 50 milioni di lire, "per il disturbo", ai gestori dell’elegante bisca, mentre i suoi uomini, con garbo spogliavano i presenti di gioielli, orologi e contanti.
Politico del Msi, segretario all’epoca dell’on. Michelini e consigliere alla regione Lazio, Edoardo Formisano, non soltanto intratteneva buoni rapporti con personaggi di rilievo della malavita romana, (da Barbieri ad Abbruciati) ma professava una spiccata ammirazione per Turatello, conosciuto quando costui, da giovane, bazzicava a Milano le sedi del Msi, rivolgendosi così: «Caro Capo".
Racconta Antonio Mancini, detto l’"Accattone": «Durante la comune detenzione a Trani e nella corrispondenza che tenemmo successivamente al mio allontanamento da Trani, con Francis Turatello non parlammo mai dei suoi processi, se non per accenni. Fu, però, in occasione della mia uscita dal carcere e della mia frequentazione con Danilo (Abbruciati, n.d.r.) che ebbi occasione di parlar(ne...), nella prospettiva di un aiuto al Turatello a tutto campo, sia su Milano sia su Roma. (...) nel corso di queste discussioni con Danilo Abbruciati (...) tornava spesso il nome di Formisano".
Il tentativo, che vide proprio Edoardo Formisano protagonista, insieme a Turatello e a Tommaso Buscetta, naturalmente operato al di fuori dei canali istituzionali, di trovare la prigione di Aldo Moro, è emblematico di com’egli sfruttasse la sua rete di relazioni malavitose.
Stante il dilagare degli attentati terroristici di quei tempi, l’esponente missino, quando Aldo Moro venne rapito, si stava già interessando al fenomeno del terrorismo rosso e, in particolare, della politicizzazione, nelle carceri italiane, dei detenuti comuni da parte delle Br. A questo scopo, nell’ultimo scorcio del 1977, aveva contattato Ugo Bossi, luogotenente di Francis Turatello a Milano e gestore del gioco di azzardo in quella città. Riuscito fortunosamente ad avanzare la richiesta, mentre Francis Turatello gli aveva opposto una fin de non recevoir, essendo il potente boss milanese intenzionato a "combattere il terrorismo di sinistra con i propri metodi", da Tommaso Buscetta aveva ottenuto, invece, risposta positiva. Dopo il sequestro dello statista democristiano, il boss di Porta nuova subordinò, tuttavia, la sua collaborazione al proprio trasferimento dal carcere di Cuneo al centro clinico del carcere di Torino: solo a tale condizione il tentativo di ottenere notizie, magari anche mediante l’uso della forza, sul luogo in cui era custodito l’ostaggio, avrebbe avuto qualche possibilità di successo. Alberto Franceschini racconterà di aver appreso dallo stesso Francis Turatello, nel carcere di Nuoro, non solo che Edoardo Formisano si era interessato della liberazione di Aldo Moro, cercando di sapere attraverso i canali carcerari dove fosse la sua prigione, ma anche che l’interessamento passava attraverso la costituzione di una struttura clandestina all’interno del carcere con uomini di fiducia di Francis Turatello, una rivolta nel carcere di Torino dove allora si celebrava il processo ai capi delle Brigate Rosse, la presa in ostaggio di quei capi per conoscere la prigione del presidente della Democrazia cristiana e, finalmente, la loro uccisione.
Già disposto in sede locale, con la complicità del maresciallo delle guardie carcerarie Alfredo Manfra in combutta proprio con Francis Turatello e Ugo Bossi, il trasferimento di Tommaso Buscetta a Torino fu bloccato dal generale Dalla Chiesa. Dalle intercettazioni in corrispondenza dell’arrivo della terza lettera di Moro sulle utenze in uso a Ugo Bossi, emerge, tuttavia, come per ottenere il trasferimento, avendo il ministero scavalcato il capo della sicurezza nelle carceri, fosse necessaria una nuova domanda, di cui avrebbe dovuto occuparsi lo stesso Formisano, il quale vantava, allo scopo, amicizie importanti. Proprio, però, a causa del mancato interessamento del politico missino, che, intenso per un certo tempo, in seguito s’era affievolito, pur senza mai arrestarsi, non fu possibile conseguire il trasferimento di Tommaso Buscetta presso il centro clinico di Torino, con la conseguenza che quel tentativo di trovare la prigione di Aldo Moro naufragò irrimediabilmente.