Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 19/7/2014, 19 luglio 2014
DEFICIT, UNA PARTITA SUL FILO DEL 3%
Con un Pil allo 0,2% nell’anno in corso, contro lo 0,8% previsto dal Governo in aprile, il deficit 2014, per ora indicato al 2,6%, scivolerà inevitabilmente verso il tetto massimo del 3%. Ci si muove sul filo dei decimali per evitare il ricorso a una manovra correttiva in autunno.
Uno scarto dello 0,6% rispetto alle stime di crescita primaverili non è poca cosa, anche se prima di formulare previsioni ultimative occorrerà prudentemente attendere il 6 agosto, quando l’Istat comunicherà il dato relativo al Pil del secondo trimestre. Non vi è tuttavia da farsi grandi illusioni. Dopo il risultato negativo del primo trimestre (-0,1%), è possibile ipotizzare per il secondo trimestre un range tra -0,1% e +0,3% e secondo quando già ha fatto sapere l’Istat comunque, alla luce di questo trend, il risultato finale per l’anno in corso evidenzierà una variazione nella media del 2014 «debolmente positiva». Un risultato da «zero virgola», dunque, anche se può fare una certa differenza che l’anno si chiuda più verso lo 0,5% previsto in maggio dall’Ocse, oppure verso il più modesto 0,2% stimato ora dalla Banca d’Italia.
Rischi di manovra in autunno? Si viaggia appunto sul filo di pochi decimali. Non si può escludere del tutto, a bocce ferme, che in presenza di un così marcato rallentamento dell’attività produttiva, l’impatto (in termini di analisi di sensitività) sui conti pubblici sia anche più pronunciato. Potrebbe soccorrere la minore spesa per interessi propiziata dal calo dello spread, che al momento viene indicata in via prudenziale attorno ai 2,5 miliardi. Quel che basterebbe per evitare una correzione autunnale sui tendenziali di finanza pubblica. Di certo i margini a disposizione del governo – come del resto ha ammesso esplicitamente il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan nella sua esposizione di due giorni fa alla Camera – si restringono notevolmente.
Ogni maggiore spesa andrà finanziata interamente com misure ad hoc, senza poter far conto su margini – sia pur contenuti – di maggior deficit ritagliati nello scarto potenzialmente disponibile senza superare il tetto massimo del 3 per cento. Stiamo parlando del deficit nominale (che comunque si attesterebbe al 3% per il terzo anno consecutivo), perché comunque il governo dovrà garantire – secondo quanto ci chiede espressamente Bruxelles – che il deficit strutturale (depurato dagli effetti del ciclo economico e dalle una tantum) converga verso l’obiettivo di medio termine. In sostanza il pareggio di bilancio, che secondo il governo dovrebbe essere conseguito nel 2016.
L’appuntamento con la prossima legge di stabilità a metà ottobre, preceduto dall’aggiornamento in settembre delle principali variabili macroeconomiche, si annuncia a questo punto decisamente impegnativo. Non a caso, fin d’ora i tecnici dell’Economia stanno cominciando a ragionare su un complesso di interventi che si collocano in un range tra i 20 e i 23 miliardi. Occorre in primis onorare l’impegno, previsto dal «Def» e ribadito da Padoan (in ossequio alle raccomandazioni approvate dal Consiglio Ecofin l’8 luglio) a correggere le «dinamiche tendenziali» di finanza pubblica nel 2015, attraverso «una manovra di consolidamento» in grado di migliorare il saldo strutturale di 0,5 punti percentuali di Pil. La Commissione europea continua al riguardo a sollecitare l’Italia perché vengano rafforzate le misure di bilancio per il 2014, operando un «sostanziale rafforzamento» della strategia di bilancio nel 2015, così da rispettare il requisito di riduzione del debito.
La necessità di onorare gli impegni finanziari previsti dalla legislazione vigente, evitando che scattino clausole di salvaguardia per 4,4 miliardi, si aggiunge all’impegno a individuare le risorse necessarie per rendere stabile il bonus Irpef, finanziato per ora solo per tutto il 2014. Circa 14,3 miliardi, cui occorrerà aggiungere spese correnti indifferibili da finanziare con la legge di stabilità. Per realizzare interventi di tal fatta, occorrerà affidarsi a un mix di misure: dalla dote della «spending review», per ora indicata in 17 miliardi, a più ambiziosi risultati sul fronte della lotta all’evasione, ipotizzando al tempo stesso che anche nel 2015 si possa beneficiare di una minor spesa per interessi, rispetto alle attuali previsioni (5% del Pil). E poi c’è la partita della revisione delle cosiddette «tax expenditures».
Se il 2014 appare ormai compromesso dal punto di vista della ripresa, ogni residua possibilità di proiettare l’economia su un sentiero di crescita più sostenuto si sposta dunque sul 2015, anno in cui la Banca d’Italia stima un aumento del Pil dell’1,3 per cento, anche per effetto dell’insieme di misure varate nel 2014, compreso il bonus Irpef, oltre per l’iniezione di liquidità in arrivo dalla Bce.