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 2014  luglio 19 Sabato calendario

I VOLUMI VANNO TOCCATI CATERINA II PAGAVA DIDEROT PERCHÉ GLIELI COMPRASSE


Una biblioteca virtuale è una raccolta triste di libri. Certo, si può consultare, leggere, utilizzare al massimo attraverso tutti i confronti possibili, ma non ci appartiene. I libri bisogna possederli, compulsarli, esserne gelosi, lasciare in essi un frammento della nostra vita: sia esso una nota, una lettera, una fotografia. Borges, ormai diventato cieco, li accarezzava immaginando e rivivendo con la memoria il contenuto. Kant li preferiva ai viaggi, anzi con essi correva per il mondo. Padre Martini, il maestro di Mozart, provò fastidio quando il Papa lo chiamò a Roma: non voleva abbandonare i suoi libri nemmeno per pochi giorni. I «libridinosi» li amano perché sono colpiti da febbre cartacea, malattia da cui non si guarisce. Molti studiosi, non tutti, li adorano perché da essi hanno ricevuto aiuti indispensabili e mai li hanno traditi. Gli uni e gli altri difficilmente vanno d’accordo ma sono convinti, per ragioni diverse, che senza i libri è inutile vivere; o forse a loro sembra un’impresa impossibile. D’altra parte, molti delitti sono stati commessi per il possesso esclusivo di un libro, dall’assassinio di un collezionista che sosteneva di avere una seconda copia di un’opera unica — e il pugnale lo vibrò un pio frate — agli scavi ordinati da Napoleone nei sotterranei del Cremlino. L’imperatore dei francesi voleva almeno rubare la parte di biblioteca dell’ultimo basileus di Costantinopoli, Costantino XI Paleologo Dragases, fatta murare dallo zar Ivan il Terribile, ma causò soltanto gravi danni archeologici. Possedere un libro è una consolazione per i sensi più che un bisogno culturale. Anatole France ammoniva: «Mai prestare un libro, gli unici libri che ho in biblioteca sono quelli che gli altri mi hanno prestato». E Caterina II di Russia, pur di avere dei libri di valore, passava uno stipendio a Diderot, con l’accordo scritto che sarebbero stati suoi dopo la morte del filosofo. Per questi e per altri motivi, la mania di possedere volumi, di raccoglierli, di toccarli, non si può spiegare se non ricorrendo ai termini «amore» e «gelosia» in tutte le loro declinazioni. In un paio di lettere giovanili Nietzsche chiedeva alla madre, per le letture estive, i suoi libri: in essi ritrovava una sottolineatura, un appunto, una memoria; sarebbe stato più facile prenderli in una biblioteca ma non c’erano quei segni indispensabili del possesso. Giuseppe Pontiggia arrivò a far controllare la stabilità della propria casa più volte da un ingegnere, perché continuava a riempirla di tomi. Quando la situazione giunse a un punto critico comprò altri locali, ma non poteva permettersi di non possedere i libri che avrebbe desiderato leggere. E se un visitatore gliene toccava uno, lo ricomprava nuovo: polpastrelli profani, con le eventuali malie, lo tormentavano. Petrarca era ricco e si faceva miniare i libri dagli artisti esosi, Checov aveva solo edizioni economiche: entrambi però desideravano studiare su qualcosa che era loro. Soltanto loro.