Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 19/7/2014, 19 luglio 2014
L’ULTIMO ROVESCIO SOTTO I RIFLETTORI DI UNA PROCURA DIVISA
MILANO — Prendere in faccia uno dei tram che passano sotto Palazzo di giustizia forse ieri avrebbe fatto meno male al gruppo dirigente della Procura di Milano: trasmette l’impressione il corridoio pomeridiano dove tutti — dal procuratore Edmondo Bruti Liberati al capo dell’Antimafia Ilda Boccassini, dall’aggiunto dei reati economici Francesco Greco a quello dei reati sessuali Pietro Forno — escono da mini riunioni nei loro uffici ed evitano commenti all’assoluzione di Berlusconi.
Non è solo diplomazia, peraltro vestita dal rispetto per le sentenze che aveva già indotto Bruti a non commentare anche la condanna in primo grado. Non è solo l’aggiornamento pluriennale del punteggio processuale tra Berlusconi e Boccassini: «2 a 2», assoluzione nei processi Ruby e Sme, prescrizione della corruzione giudiziaria nel processo penale lodo Mondadori e successiva condanna civile a risarcire a De Benedetti 494 milioni di euro. E nemmeno è solo l’imbarazzo per l’infelice frangente della Procura in mezzo ai contrasti al Csm tra Bruti e l’altro suo vice Alfredo Robledo, in parte proprio sui criteri di assegnazione al pm Boccassini del fascicolo Ruby.
C’è di più: c’è l’impatto con una sequenza di rovesci processuali concentratisi negli ultimi mesi in alcuni dei fascicoli più sotto la luce dei riflettori. L’assoluzione in primo grado di Pier Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri dalla frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediatrade; l’assoluzione in Appello di quattro banche internazionali dall’accusa di aver truffato il Comune di Milano sui prodotti finanziari derivati; l’assoluzione dall’aggiotaggio in Appello e poi in Cassazione dell’ex governatore di Banca d’Italia Antonio Fazio e degli immobiliaristi e contropattisti della scalata Unipol a Bnl; l’assoluzione in Corte d’assise dei poliziotti imputati dell’omicidio preterintenzionale di Michele Ferrulli in un fermo per strada; il proscioglimento in udienza preliminare dei vertici della multinazionale Bosch da una contestata frode fiscale. E adesso l’assoluzione in Appello di Berlusconi nel processo Ruby.
Ciascuno di questi processi ha per la verità la sua storia: nel processo Mediaset (gemello di Mediatrade) la Cassazione aveva condannato in via definitiva Silvio Berlusconi; il processo sui derivati, nel quale c’era stata una condanna in primo grado, ha comunque propiziato una maxitransazione tra le banche e il Comune di Milano del valore di 450 milioni di euro in 20 anni; l’indagine sulle scalate bancarie aveva già ottenuto decine di condanne o patteggiamenti definitivi (compresi Fazio, Consorte, Fiorani) nel gemello aggiotaggio Antonveneta; e la Bosch, prima dell’assoluzione dei suoi vertici, si era comunque determinata a versare al Fisco 320 milioni di euro. Senza scordare le centinaia di condanne in Cassazione nel maxiprocesso di ‘ndrangheta istruito dal pool Boccassini, «Infinito»; o la condanna (sinora) in Appello degli stilisti Dolce&Gabbana per omesse dichiarazioni fiscali.
Ma a soffrire ieri il timore del contraccolpo, più ancora dei pm superstar sono i pm peones , quelli che sui giornali finiscono poco ma in realtà mandano avanti l’ufficio, spesso con superiore perizia nelle indagini e maggiore tatto verso le persone rispetto ai colleghi più osannati. È probabilmente a loro che pensava il vicecapo dell’Ufficio gip, Claudio Castelli, quando ieri mattina, prima della sentenza e dunque indipendentemente da essa, inviava una riflessione invece sui contrasti tra pm milanesi al Csm: «La Procura, con problemi e difficoltà, funziona e cerca di assicurare quell’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge che è la nostra costante tensione. A volte dico scherzosamente che davanti a noi passa ed è passata la storia (spesso criminale) d’Italia. Ed in effetti abbiamo processato dal presidente del Consiglio al presidente della Regione, dalla ‘ndrangheta alla mafia, dalle scalate bancarie ai reati tributari». Ci sarebbe forse anche qualche altro dato da iniziare a soppesare, come il 26,3% di imputati assolti già in primo grado. Ma per Castelli un conto è «criticare la Procura per avere sviluppato pool troppo isolati e poco intercomunicanti, o non avere cercato una forte coesione interna», e tutt’altro è «distruggere il credito che la Procura si è guadagnata sul campo: va difesa senza tentennamenti — ritiene Castelli —, questo oggi è il fronte della nostra indipendenza».