Aldo Grasso, Corriere della Sera 19/7/2014, 19 luglio 2014
QUEL CONFINE INCERTO TRA NOTO E IGNOTO
Da un po’ di tempo, subito dopo Blob e prima di Un posto al sole, Rai3 propone una serie storica che ha fatto scuola: Ai confini della realtà (The Twilight Zone, 1959). La collocazione, il bianco e nero, i temi trattati contribuiscono non poco a creare un effetto straniante. Ogni episodio è introdotto da una voce fuori campo che ci accompagna in una misteriosa dimensione, a contatto con l’inspiegabile e il soprannaturale, e con il mistero della vita oltre la morte. Nella versione italiana dice: «Esiste una regione tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la dimensione dell’immaginazione, è una regione che si trova ai confini della realtà».
Nella versione originale del creatore Rod Sterling si parla invece di quinta dimensione (forse ci sono già problemi con la quarta, così il testo è stato cambiato). L’espressione twilight zone del titolo originale è un termine che nell’Air Force descrive la fase in cui un aeroplano vola nell’alta atmosfera e passa dalla luce al buio. Per Sterling è la zona che separa il noto dall’ignoto, vasta e inesplorata, popolata da alieni, robot, angeli e diavoli, ma anche piena di premonizioni e di sogni. Si è sempre detto che ogni storia cercava di rappresentare l’inconscio della società americana fra gli anni Cinquanta e Sessanta: la solitudine, la condizione di spaesamento, la paranoia e il conformismo della Guerra Fredda, i nascenti conflitti sociali e ideologici, l’incertezza del futuro. Ed è certamente vero. Ma rivisti oggi, gli episodi conservano una loro forza espressiva che li eleva a classici della tv. Nel 1983 Joe Dante, John Landis, Steven Spielberg e George Miller hanno firmato un film ispirato alla serie composto da quattro episodi di cui tre sono rifacimenti di vecchie puntate.