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 2014  luglio 21 Lunedì calendario

FAR TACERE I PROFESSORI CON LE MINACCE FISICHE

C’è una frase molto eloquente nella rivendicazione degli atti teppistici che stanno ripetutamente colpendo a Bologna il nostro Angelo Panebianco: «L’unica libertà che riconosciamo ai baroni alla Panebianco è di tacere. L’impunità per loro è finita». Cioè, trascritto dai codici mafiosi degli estensori: devono parlare solo loro. Gli altri devono tacere. E se non tacciono, peggio per loro, l’incolumità non è più garantita («l’impunità è finita»). È l’apologia del manganello su chi osa contraddirti. La teorizzazione spudorata dello squadrismo. Dalla loro hanno l’indifferenza dei più: vanno all’Università di Bologna a minacciare fisicamente Panebianco e le aggressioni passano inosservate, giusto qualche comunicato di «ferma condanna» della violenza da parte delle autorità accademiche e cittadine e per il resto il silenzio. Come se ci fossimo abituati ai manipoli di violenti che se ne vanno incappucciati per imbavagliare il «nemico del popolo» di turno.
Qualche mese fa, gli energumeni dei collettivi studenteschi avevano imbrattato la stanza dell’Università di Panebianco con slogan minacciosi vergati con la vernice rossa. Nei giorni scorsi hanno fatto qualcosa di più. Sempre incappucciati, certo: i vigliacchi aggrediscono cento contro uno a volto coperto, come un branco che deve colpire la vittima isolata. Ma nei giorni scorsi, oltre alla scritta hanno anche eretto un rudimentale muro sulla porta dello studio di Panebianco, proprio nel cuore dell’Ateneo bolognese. Dicono perché Panebianco aveva scritto chissà cosa che aveva urtato la loro acuta sensibilità. Ma quel che aveva scritto Panebianco è solo una scusa. La pulsione dell’intolleranza trova negli argomenti dei meri pretesti per sfogarsi. La voglia dispotica di un pensiero allineato, conforme ai desideri di chi discute solo con il bastone in mano per fracassare le teste dissenzienti, trascende il singolo articolo, il singolo saggio, il singolo libro. Hanno deciso di mettere nel mirino un professore, di intimidirlo, di spadroneggiare all’interno dell’Università, di lanciare un avvertimento, di esercitare nei loro modi molto grossolani la «vigilanza» su ciò che si scrive e si divulga.
Non basta purtroppo constatare che tutti gli episodi di professori, sindacalisti, politici, perfino registi teatrali come Simone Cristicchi, presi a bersaglio dell’intolleranza delle squadracce sono stati accolti come ragazzate di esuberanti che certo avrebbero potuto usare mezzi più ortodossi ma ci sarà pure «libertà di fischio». Solo che la libertà di fischio, quando intima al silenzio, è la fine della libertà di chi subisce le aggressioni. Le intimidazioni possono restare senza conseguenze, per fortuna. Ma resta l’istinto liberticida di chi propone come unica soluzione per chi dissente il semplice, lugubre, orribile «tacere». Ecco perché dovrebbero protestare tutti, non solo il sindaco di Bologna e i professori della sua Università. Basterebbe solo un po’ di coraggio.