Paolo G. Brera, la Repubblica 21/7/2014, 21 luglio 2014
BOEING ABBATTUTO, L’ODISSEA DEI CORPI
Basterebbe ruotare questa leva, ecco, e dei poveri morti sul volo malese potresti farne quel che vuoi: li hanno portati in tre vagoni di un convoglio di cinque, sul primo binario della bianca stazione di Torez, Ucraina orientale, e dopo l’ispezione dell’Osce li hanno abbandonati lì come sacchi vuoti. Nessuno a guardare il treno, nemmeno un ribelle di piantone. Una babushka con il velo bianco in testa attraversa i binari con la borsa della spesa, lanciando un’occhiata distratta a quello strano treno grigio senza finestre. Non c’è un’anima viva. Max Seddon di BuzzFeed scatta e twitta: «Se ne sono andati tutti, incredibile».
Pomeriggio inoltrato di domenica, ultime dal fronte della Nuova Russia, lo Stato libero e “autoproclamato” che sta gestendo la più grave crisi tra Occidente e Mosca dalla fine della Guerra fredda. C’è un treno della morte senza nome e senza meta, fermo sul binario con il motore della locomotiva che gracchia, acceso per far funzionare i vagoni refrigerati. È qui che all’alba di ieri i ribelli hanno trasportato le vittime del volo Mh17 che qualcuno ha abbattuto sui cieli del Donbass guardandosi bene dall’assumersene la responsabilità. Probabilmente hanno usato il convoglio di Tir che domenica sera arrivava da Donetsk, seguito da un camion frigo forse pieno di ghiaccio: li scortava - a velocità folle sulle carrarecce del profondo Est - una camionetta con la mitragliatrice sul pianale.
Ore 14, palazzo della Regione occupato dai ribelli e trasformato in quartier generale: all’undicesimo piano, l’ultimo e il più prestigioso nella gerarchia della rivolta del Donbass, il primo ministro della ribattezzata “Nuova Russia” Alexandre Borodaï è attorniato da decine di giornalisti. Li ha convocati e li affronta in t-shirt nera e giacca di jeans, circondato dai miliziani con i kalashnikov e le pistole in mano, non nella fondina, come per proteggerlo dai microfoni puntati. Da qualche ora si è diffusa la notizia che i sacchi neri con i cadaveri, rimasti allineati sul terreno fino a sabato sera e scomparsi domenica mattina, erano stati trasportati su un treno e da lì portati chissà dove. Qualcuno assicurava fossero diretti alla stazione di Ilovaysk, una ventina di chilometri più a sud lungo la linea che porta a Rostov, in Russia. Ad altri era stato annunciato che il treno fosse già partito per Donetsk: alcuni giornalisti andati alla morgue per controllare, tra i quali Lucia Sgueglia della Stampa, sono stati fermati un paio d’ore dalle guardie.
Così, alle 14 è il primo ministro Borodaï a spiegare: «Abbiamo acconsentito a portare via i corpi per non farli mangiare dai cani», dice annunciando che il treno per ora non andrà da nessuna parte. Resterà fermo in stazione, con i vagoni refrigerati e il suo macabro carico, aspettando che arrivino gli “esperti internazionali”; i quali, lamenta, tardano a essere inviati. «Non possiamo consentire che vadano, è troppo pericoloso», replica Kiev. È lo stesso tiro alla fune che continua da mesi per i colloqui di pace: tutti d’accordo sul principio, ma non si trova mai il luogo in cui effettuarli, una scusa per affibbiare all’altro responsabilità e biasimo.
Alla stazione di Torez arriva l’equipe dell’Osce,
proveniente dal sito del disastro. Li accompagna un plotone dei “berkut”, le famigerate “aquile d’oro” dell’ex polizia anti-sommossa ucraina sciolta formalmente a febbraio. Tutt’altro piglio, rispetto ai masnadieri
della milizia ribelle autoconvocata: divise ordinate, organizzazione e nervosismo marziale d’ordinanza. «Noi non possiamo che vigilare », spiegano gli uomini dell’Osce ai giornalisti; non sono tecnici e non saprebbero né potrebbero occuparsi di cadaveri o di scatole nere. I berkut concedono poco, a loro non serve
molto: «No, i cadaveri non li abbiamo potuti contare... è impossibile entrare nei vagoni senza l’attrezzatura adatta, e l’odore è insopportabile » dopo più di due giorni di sole a picco tra steppa e campi di grano. Spiegano che solo tre dei cinque vagoni sono pieni di corpi e resti. Gli altri due serviranno probabilmente
ai prossimi ritrovamenti: ieri hanno allineato altri 48 cadaveri, a Grabovo, e forse stamattina li porteranno alla stazione di Torez, una quindicina di chilometri dai campi della tragedia. E poi?
Kiev ha allestito un centro di coordinamento a Karkov, 300 chilometri a nord, dove gli alberghi hanno messo a disposizione camere gratuite per le famiglie delle vittime. Ma i ribelli aspettano gli “esperti internazionali”
che non arrivano, e intanto hanno ricevuto da Dnepropetrovsk un kit per l’analisi del Dna. Di pietas, nemmeno l’ombra. E non manca solo quella: «Abbiamo trovato degli oggetti, presumibilmente le scatole nere, e le abbiamo portate a Donetsk, dove sono in nostro controllo», dice Borodaï con un pressapochismo grottesco. «Noi non abbiamo le competenze per decifrare i contenuti, le consegneremo all’Icao». Anche ammettendo che quelle “robe arancioni” che hanno trovato e dicono di non sapere riconoscere siano davvero il cervello e la memoria del Boeing abbattuto, chi può garantire che i contenuti non siano già stati alterati o cancellati?