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 2014  luglio 21 Lunedì calendario

L’UOMO IN GABBIA

Adeline ha 17 anni ed è alta 5 metri. Curiosa, intraprendente, adora mangiare cocomero, e ora twitta pure. Mentre tanti ricordano l’eutanasia imposta a Marius, a Copenaghen, la giraffa più famosa di Parigi è diventata una star. Anzi, l’“ambasciatrice” del nuovo zoo della capitale francese, uno dei più antichi d’Europa, riaperto dopo sei anni di lavori con una visione diversa rispetto al passato: non più parco di divertimento, ma luogo di istruzione. Gli oltre mille animali di 180 specie che scorrazzano nei 14 ettari dentro al Bois de Vincennes sono presentati come maestri di vita per bipedi
urbani quali siamo diventati, ormai disabituati al rapporto con la Natura.
La filosofia dello zoo parigino capovolge il tradizionale rapporto tra pubblico e attrazioni e ha inizialmente provocato qualche delusione tra i piccoli visitatori. «Dove sono i lupi?» chiede Théo, 9 anni, mentre cammina in una delle cinque biozone che rappresentano altrettanti luoghi del pianeta: deserto del Sahel, Patagonia, Madagascar, la Guiana, ma anche l’Europa. Nella nuova configurazione del parco zoologico, gli animali hanno molto più spazio di prima, non sono più in gabbie, ma in habitat chiusi in recinti vegetali o da lastre di vetro, e quindi possono nascondersi, restando talvolta invisibili per ore alle migliaia di curiosi che pagano il biglietto.
Un paradosso. «Non sono gli animali a essere mostrati agli uomini, ma i visitatori a essere invitati a scoprire gli animali» spiega la direttrice dello zoo parigino, Sophie Ferreira Le Morvan. «Vogliamo insegnare ad allenare lo sguardo, a fare lo sforzo di pazientare in silenzio». Faticosi ma forse istruttivi appostamenti per intravedere Adeline la Giraffa, Nero il Leone, Wami il rinoceronte bianco, e l’ultima arrivata, Ayana, una babuina nata a febbraio. I lavori di ristrutturazione, guidati da un consorzio tra enti pubblici e privati, sono costati oltre 162 milioni di euro. Ma lo zoo, anzi il parco zoologico così come viene chiamato, spera di attrarre 2 milioni di visitatori entro la fine dell’anno.
Nel gergo politicamente corretto in uso a Vincennes gli animali in cattività vengono chiamati “ambasciatori” perché dovrebbero sensibilizzare i visitatori sulle minacce che subiscono in diverse parti del mondo. I visitatori possono patrocinare alcuni esemplari in via di estinzione cliccando sul sito, con donazioni da 10 a 1000 euro. Su Facebook e Twitter ci sono notizie in tempo reale sulle bizze della nuova otaria Bary, la nascita di piccoli fenicotteri rosa, la pulizia delle zebre. Nel parco c’è un’infermeria con 50 veterinari che spesso si ritrovano in mezzo ai visitatori per dare spiegazioni su preferenze e carattere degli illustri ospiti. Esiste una push rino, enorme bilancia per pesare i rinoceronti e una roccia termica che dovrebbe garantire calore ai leoni durante il rigido inverno francese. Una delle attrazioni, pardon: delle zone didattiche, più spettacolari è la serra tropicale di 4 mila metri quadrati con farfalle, rettili e uccelli multicolori.
I responsabili del parco hanno assoldato dei sociologi che studiano il comportamento dei visitatori per capire come e quanto migliorare questo luogo di incontro. Nella nuova chiave pedagogica, a essere studiati sono anche i comportamenti degli uomini davanti agli animali, e non solo il contrario. «Viviamo in un’epoca in cui si è perso il rapporto con la natura. Lo zoo urbano diventa un luogo essenziale per riscoprire questa relazione» racconta Thomas Grenon, direttore del Museo nazionale di Storia naturale di Parigi, da cui dipende il parco zoologico di Vincennes sin dal 1931, quando venne creato per l’Esposizione Coloniale. Ma quasi un secolo dopo hanno ancora senso questi luoghi? «Lo zoo è un mondo di contraddizioni » commenta Eric Baratay, professore di Storia all’università di Lione che ha scritto diversi libri sul tema. È dagli anni 70, spiega l’esperto, che si cerca di promuovere un presunto “benessere animale”. «Lo zoo deve rispondere al bisogno delle nostre società di “vedere” e “sentire” animali selvaggi – racconta Baratay – non dando però l’impressione che siano “imprigionati” per il nostro piacere, che pure è la missione stessa degli zoo». Certo, sono stati fatti progressi. Dal 1973 esiste la convenzione internazionale delle specie animali e vegetali selvatiche minacciate di estinzione: è bandito il traffico e il contrabbando di esemplari in zone protette. I parchi zoologici hanno teoricamente un compito di conservazione e riproduzione degli animali, sotto l’egida della World Association of Zoos and Aquariums. Ma il decalogo dell’associazione non sempre è rispettato, come dimostrano i recenti casi di Marius a Copenhagen o dell’uccisione di un orsetto a Berna. E nonostante le buone intenzioni, anche l’obiettivo di ripopolare zone con specie in via di estinzione fatte nascere in cattività è parzialmente fallito, tranne in alcuni rarissimi casi.
La nuova missione degli zoo, dunque, sembra proprio quella di (ri)educare gli uomini. «Non basta sostituire le sbarre con piante e vetri, per far credere che lo zoo è diventato un parco più rispettoso della natura» commenta Franck Schrafstetter, presidente dell’associazione Code animale che da anni milita contro zoo o spettacoli circensi. La presunta finalità pedagogica di Vincennes, dice Schrafstetter, è solo una triste illusione. «Un leone a Parigi al quale vengono servite vasche di carne non ha nulla da spartire con quello che vive inseguendo le sue prede nella Savana», continua il portavoce di Code Animal che sogna una mobilitazione che permetta un giorno di abolire gli zoo, un po’ come all’inizio del Novecento sono scomparsi gli “zoo umani” in cui venivano esposti indigeni chiusi dentro gabbie, davanti al pubblico festante.
Un cambio di mentalità è in corso. Non a caso, la Francia ha approvato qualche mese fa un emendamento per dare agli animali lo statuto di «esseri viventi dotati di sensibilità» e non più di res, «cose» come previsto finora dal codice civile. Sempre più visitatori non accettano di vedere animali malinconici e sofferenti. Lo zoo di Vincennes è un primo segnale, anche se non è poi così nuovo: già nel 1907 il mercante di animali selvatici Carl Hagenbeck aveva creato uno zoo più rispettoso delle bestie, senza gabbie, con recinti vegetali e fossati. «Per essere davvero rivoluzionario – commenta l’esperto Bataray – Vincennes avrebbe dovuto selezionare un piccolo numero di specie, sviluppando un vero programma didattico di osservazione. In questo caso è invece un modello classico, nel quale l’uomo mantiene la sua posizione da dominatore». Uno studio fatto sul piccolo zoo parigino del Jardin des Plantes, “fratello” minore di quello più grande di Vincennes, ha dimostrato che tre visitatori su quattro non leggono neppure i cartelli didattici. «Lo zoo – conclude Bataray – resta un luogo di rappresentazione antropomorfica. È pura messa in scena, un teatro del selvaggio». E non basta avere un profilo Twitter, come la giraffa Adeline, per sentirsi più liberi.