Stefano Tamburini, La Nuova Sardegna 26/9/2013, 26 settembre 2013
La sua era alta sartoria applicata ai giornali, una veste elegante per rendere più belli da vedere, e anche da leggere, quotidiani che con lui hanno cercato di non invecchiare mai
La sua era alta sartoria applicata ai giornali, una veste elegante per rendere più belli da vedere, e anche da leggere, quotidiani che con lui hanno cercato di non invecchiare mai. Lui per noi era “il Principe”, un po’ perché nei suoi modi c’era sempre un fondo di nobiltà anche nei momenti più difficili, un po’ perché principe lo era davvero, discendente dell’ultima famiglia regnante del Montenegro. Stefano Petrovich ci ha lasciati ieri a 84 anni, tradito nel sonno da un infarto. Stava bene, nonostante gli acciacchi dell’età, e stava progettando una rimpatriata con gli amici più cari. Appena dell’altro ieri le ultime telefonate. Petrovich ha rappresentato molto per questo e per gli altri giornali locali del Gruppo Espresso. È stato anche grazie a lui che a un certo punto della loro storia hanno cominciato ad avere un’anima nuova. Questo giornale ha avuto il suo “disegno” fino alla veste precedente a quella attuale. Ma Stefano non era solo un grande giornalista o un principe della grafica, era un uomo di immensa cultura e di un’innata curiosità, capace di stupirsi e indignarsi anche dopo averne viste tante. La storia di Stefano Petrovich Njegosh – questo il suo nome completo – è stata però anche molto altro, un romanzo che ha attraversato la realtà. Nato nel 1929 a Podgorica, capitale del Montenegro, era il nipote della regina Elena, moglie di re Vittorio Emanuele, il nonno era Nicola II di Montenegro. Dopo i primi studi in Russia, nel 1941, quando in Montenegro per la famiglia reale la situazione si stava facendo pesante, la fuga in Italia. A Roma soggiornava dalla zia, al Quirinale. Poi si è spostato a Torino: prima gli studi in Architettura al Politecnico, poi l’abbraccio al giornalismo con Nello Ajello e Adriano Olivetti. Ha lavorato dapprima a Ivrea alle riviste di Olivetti, per poi finire a “Paese Sera”, un quotidiano che è stato una vera e propria fucina di talenti e del quale è stato caporedattore. Lì l’incontro con Mario Lenzi, vicedirettore del giornale e futuro “padre” dei quotidiani locali del Gruppo Espresso. Un incontro che segnerà una svolta: dopo la crisi del quotidiano, Petrovich ha infatti seguito Lenzi al Gruppo Espresso. Dalla fine degli anni ottanta in poi, ha lavorato per i nostri giornali rinnovandoli in continuazione e offrendo anche un apprezzato contributo di idee e riflessioni. Stefano parlava perfettamente inglese, francese, serbocroato e russo. Il suo italiano era privo di ogni inflessione dialettale ed era impeccabile nella forma. Di ogni dialetto aveva però colto la sia pur minima sfumatura e sapeva imitare accenti e inflessioni tipiche fino al punto di riuscire a confondersi con uno del posto. A lui piaceva anche un po’ giocare con tutto questo, stupire ma non ha mai fatto pesare la sua cultura elevata. Un principe e un signore, capace di raggiungere posizioni di vertice in un quotidiano comunista come “Paese Sera” senza mai prendere la tessera del Pci. In Italia è rimasto apolide a lungo, un po’ per le circostanze e un po’ per scelta, anche per quella sua vena un po’ anarchica e un po’ libertaria che non gli faceva mai perdere di vista i diritti e i doveri di ognuno. Ogni notte, fino all’ultima, non ha mai mancato l’abbraccio con un nuovo libro. Sempre con la stessa voglia di sapere. I funerali domani alle 12 a Roma, al Verano. Saranno in tanti a salutarlo come avrebbe voluto lui, senza enfasi e con un abbraccio ideale. Di uomini così si è perso lo stampo. Che la terra gli sia lieve. E grazie di tutto.