Varie, 19 luglio 2014
AEREO UCRAINA PER IL FOGLIO DEI FOGLI 21 LUGLIO 2014
Giovedì 17 luglio. Regione di Grabovo, confine orientale tra Ucraina e Russia, ore 16. Un lampo nel cielo, un boato, un aereo si schianta al suolo in una distesa di miniere di carbone e campi di girasole, si spezza in due. Corpi, oggetti, sedili, lamiere, valigie, guide turistiche sparsi per 12 chilometri. Si alza una colonna di fumo visibile a chilometri di distanza [1].
Volo MH17 della Malaysia Airlines. L’aereo, un Boeing 777 che volava a diecimila metri d’altezza, era partito alle 12.15 di mattina (ora locale) da Amsterdam Schipol diretto a Kuala Lumpur dove sarebbe dovuto atterrare alle 06.10 ora locale. Aveva attraversato quasi tutta l’Ucraina da ovest. All’improvviso sparisce dai radar. L’impatto avviene non lontano dalla cittadina di Shaktiorsk, “Città dei Minatori” [2].
«Il Boeing 777 della Malaysia Airlines partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur viaggiava già da quattro ore. Ve lo potete raffigurare. Il pranzo è già stato servito. Tanti dormicchiano, qualcuno legge, chi guarda un film, le mamme cercano di tenere occupati i figli. Il viaggio è ancora lungo, forse qualcuno giù comincia a prepararsi per la notte a bordo. All’improvviso il boato del missile. L’aereo implode, lo sbalzo di pressione lo apre come una scatoletta. Tanti tra equipaggio e passeggeri sono stati sbalzati nel vuoto. C’è almeno da sperare che abbiano perso immediatamente conoscenza a causa del freddo e del salto di pressione. È quasi certo, perché comunque sono lunghi 10 chilometri di caduta libera. Bastano 100 metri per capire che stai morendo» [3].
Tutti morti: 283 passeggeri e 15 dell’equipaggio. Nazionalità: 192 olandesi, 44 malesi, 27 australiani, 12 indonesiani, 10 britannici, 4 tedeschi, 4 belgi, 3 filippini, un canadese e un neozelandese. Tra i passeggeri, 6 medici specializzati nella cura dell’Aids che si recavano a un convegno internazionale a Melbourne. Bambini: 80.
Il conflitto tra ucraini e filorussi, quasi sparito dalle pagine dei giornali, torna d’attualità. Kiev accusa i ribelli, che hanno la loro capitale a Donetsk (a una cinquantina di chilometri dal luogo dell’esplosione). Diciassette minuti dopo il disastro, il comandante militare in capo dei filorussi, Igor Strelkov, su una pagina V Kontakte (il Facebook russo) scrive (e poi cancella): «Abbiamo appena abbattuto un Antonov-26 vicino a Torez. È da qualche parte nei pressi della miniera Progresso. Vi avevamo avvertito: non volate nel nostro spazio aereo». Ma non risultano aerei ucraini abbattuti in quello stesso giorno [2].
«Da diversi giorni i ribelli hanno dimostrato, da soli o con qualche aiuto esterno, che sono in grado di abbattere gli aerei dell’esercito. Lunedì è stato centrato un Antonov che volava a più di cinquemila metri (secondo fonti del Pentagono citate dalla Cnn è stato colpito dal territorio russo). Poi, mercoledì, è stata la volta di un caccia Su-25» [4].
I russi, come da copione, danno la colpa agli ucraini: quasi nello stesso tempo era in volo non lontano da quella zona l’aereo di Stato che riportava a casa Putin dal Brasile. L’apparecchio, un Ilyushin 96, reca sulla fusoliera una striscia orizzontale con i colori della bandiera russa, bianco, blu e rosso. Una livrea molto simile a quella dei jet Malaysia. (…) Dunque, si fa capire, a Kiev avrebbero voluto colpire il presidente russo [4].
La soluzione sembra essere racchiusa in una piccola parola: “Buk”. Missili di fabbricazione russa capaci di raggiungere un obiettivo a 25mila metri d’altezza. I ribelli all’inizio dicono di non averne: dispongono solo di “Manpad”, missili portatili che al massimo raggiungono 3/4mila metri. Poi precisano che due di questi Buk si trovavano a Luhansk, ma lontano dalla zona dell’abbattimento e, comunque, inutilizzabili. Ma giornalisti dell’Associated Press hanno visto missili simili ai Buk nella cittadina di Snizhne, a due passi da Grabovo [4].
Washington guardando le immagini dai satelliti non ha dubbi: l’aereo è stato abbattuto dai ribelli filorussi con un sistema missilistico Buk. «La zona del disastro – secondo un esperto olandese – era sorvegliata da Sbirs Geo 1, Sbirs Geo 2 e Usa 184, tre satelliti capaci di scoprire le fonti di calore emesse da un missile. Un sensore segnala il lancio, un secondo dovrebbe seguirne la traiettoria. Con una certa precisione. Incrociando questi dati con quelli di altri satelliti incaricati di monitorare l’Ucraina, è possibile che la Cia, insieme al National Reconnaissance Office, abbia scoperto la pistola fumante. Un funzionario protetto dall’anonimato ha precisato che gli Stati Uniti hanno visto le tre fasi, tutte fissate sulle foto satellitari: lancio del missile, impatto sul jet e distruzione. Si tratta di indizi preliminari che devono trovare riscontri sul terreno» [5].
Ma trovare le prove del missile russo sarà molto difficile: «I filorussi hanno subito invaso la zona dove erano sparpagliati rottami e corpi. Qualcuno ha saccheggiato i bagagli. Ma c’è il sospetto che i miliziani abbiano fatto sparire dei reperti. Possibile che abbiano cercato resti del missile. Un numero di matricola può raccontare molto sull’origine dell’ordigno» [5].
Confusione anche sulle scatole nere. Un dirigente separatista locale ha detto: «Le abbiamo recuperate ma non so dove si trovino». Il capo della Repubblica del Donetsk ha promesso di consegnarle agli ispettori internazionali. Voci non confermate ipotizzano che almeno una – quella che ha registrato i parametri di volo – sarebbe finita a Mosca che però promette «collaborazione». Un’altra voce ancora non esclude che le scatole siano nelle mani di Kiev [5].
Il Buk richiede addestramento, capacità tecniche, esperienza. «Non sarebbe strano se accanto agli insorti ci fossero stati dei consiglieri russi. Qualche analista lo sostiene. Il Washington Post, però, ha rivelato che diversi team di ribelli hanno seguito, nelle ultime settimane, un training nell’uso di missili anti-aerei in Russia. Movimenti registrati dai servizi di informazione. E sempre sulla dinamica c’è chi non lascia fuori dal quadro i governativi ucraini in possesso anche loro del Buk» [5].
Forse è arrivato il momento di sedersi a un tavolo. Putin, che comunque accusa gli ucraini, ha chiamato Poroshenko per trovare una soluzione pacifica alla guerra civile. La Russia è apparsa più conciliante, pur avendo ascoltato Obama dichiarare: «Il missile è partito dalle zone controllate dai ribelli. E per arrivare così in alto è evidente che c’è stata una collaborazione militare fondamentale da parte russa». «Da settimane Putin cerca di uscire da una situazione che si fa sempre più complicata. Pur controllati dall’intelligence russa i ribelli non intendono fermarsi né discutere di trattative concrete di pace. Le pressioni di Obama e dell’opinione pubblica internazionale gli impongono di darsi da fare per mettere fine alla guerra. Ma bisogna farlo senza perdere la faccia» [6].
E l’Ue cosa dice? «Otto righe. Otto. E per finire: “L’Unione Europea continuerà a seguire questo tema molto da vicino”. In mezzo, le condoglianze alle famiglie delle vittime e ai loro governi. Ventiquattr’ore dopo i fatti, questa è la risposta ufficiale dell’Ue. Firmata da José Manuel Barroso, presidente uscente della Commissione Europea, e da Herman Van Rompuy, presidente di quel Consiglio Europeo che solo tre giorni fa è finito in bubbole per straziante paresi decisionale, lasciando l’Europa per i prossimi 42 giorni senza un responsabile della politica estera. I leader dei 28 Paesi sono tutti ripartiti, è estate, intorno al palazzo del Consiglio solo turisti spaesati, quasi l’icona di un’Europa che si cerca sempre senza trovarsi mai: ci si rivedrà il 30 agosto, a cena, fra elicotteri e limousine, per un nuovo vertice straordinario» [7].
(a cura di Daria Egidi)
Note: [1] Sabrina Tavernise, la Repubblica 18/7; [2] Lucia Sgueglia, La Stampa 18/7; [3] Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 19/7; [4] Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 18/7; [5] Guido Olimpio, Corriere della Sera 19/7; [6] Nicola Lombardozzi, la Repubblica 19/7; [7] Luigi Offeddu, Corriere della Sera 19/7.