Marco Pastonesi, La Gazzetta dello Sport 19/7/2014, 19 luglio 2014
NIBALI: «CHE LIBERAZIONE VINCERE SULLE ALPI»
Sorridente. Vissuto. Sereno. Provato. Sicuro. Vivo. Vincenzo Nibali, a tu per tu con se stesso, con il Tour, con il mondo.
Nibali, se lo sarebbe mai aspettato?
«La prima delle due tappe alpine: la più facile, sulla mappa. Salite mai viste prima, però studiate, preparate, attese. Cercavo di controllare la corsa e poi, potendo, guadagnare secondi in classifica. È andata così».
Tre salite, quella finale di 18,2 km al 7,3% medio.
«Lunga, interminabile. E faceva un gran caldo. Quando toccavo la bici, scottava. Guardavo in faccia gli avversari per capire quanto soffrissero. Però, più si saliva, meglio si stava. Richie Porte deve aver patito il caldo, si è staccato, è andato in crisi. Degli avversari, era quello più forte a cronometro, dunque il più temibile. Ma adesso il mio vantaggio su di lui è consistente».
Attacchi?
«La Movistar ha fatto un ritmo alto. Poi è cominciata la guerra. Mi è sembrata più una guerra fra Valverde, Pinot, Bardet e Van Garderen, che una guerra di loro contro di me. Però io volevo staccare Valverde. Ho accelerato finché ho raggiunto Konig e Majka. Gli ho detto: “Cerchiamo di andare insieme collaborando”».
C’era ancora parecchia strada.
«E non volevo farla da solo. Ma la collaborazione c’era e non c’era. E mi sembrava che Valverde stesse rientrando. Allora ai -2 km dall’arrivo ho forzato il ritmo. Ed è arrivata anche la vittoria».
Mai stato così in forma?
«Ma sì, anche altre volte. Solo che quest’anno la forma è arrivata meno presto. In Australia al Tour Down Under, alla Tirreno-Adriatico e alla Parigi-Nizza la squadra ha ottenuto meno risultati del previsto e c’è stata questa famosa email con cui Vinokourov ci spingeva a lavorare meglio per essere più pronti».
Detto e fatto?
«Lo stavamo già facendo. Qui sono venuto con la mia forma migliore, sono molto competitivo, sto molto bene. Mi dispiace che non ci sia il duello con Alberto Contador e Chris Froome, ma cerco di fare comunque una grande corsa».
Maglia gialla e maglia a pois. Padrone del Tour?
«La maglia gialla spero di tenerla fino a Parigi. La maglia a pois la cederò presto, credo a Rodriguez».
E le tre vittorie di tappa?
«La prima, a Sheffield, è venuta all’improvviso: vittoria dell’istinto. La seconda, a La Planche, è stata cercata e voluta: vittoria mia e della squadra. La terza, questa, dopo una salita lunga e difficile: vittoria come liberazione. Stento ancora a crederci».
E adesso?
«Domani (oggi, ndr) altre tre salite, più importanti: Lautaret, Izoard e Risoul. Vediamo le reazioni del gruppo. Cercherò di difendermi».
Si aspetta attacchi?
«Me li aspetto anche sui Pirenei. Ci sono ancora tante montagne. Devo riposare, recuperare, rimanere tranquillo».
Ha vinto in maglia gialla nel giorno in cui Gino Bartali avrebbe compiuto 100 anni.
«Non solo. Ho vinto in maglia gialla anche 19 anni dopo la morte di Fabio Casartelli. Me lo ricordo, quel giorno: ero piccolo, ma ne rimasi colpito. E questa vittoria è dedicata anche a Andrei Kivilev, corridore kazako, morto 11 anni fa. Insomma, è stata una vittoria molto speciale».
Bartali, il più forte scalatore di sempre, e lei, in maglia a pois. Coincidenza?
«Temo di sì».
Sull’ultima salita fra i compagni le è rimasto accanto solo Kangert. Preoccupato?
«Alcuni hanno lavorato tanto nella prima parte della tappa. Poi me ne sono rimasti tre. Fuglsang è scivolato dal Palaquit per colpa di una borraccia in mezzo alla strada. Westra ha ceduto all’inizio dell’ultima salita, Kangert a metà».
Ai -3,5 km dall’arrivo c’era un gruppo di Cannibali. Visti?
«Sì, fra loro c’era anche Carlo Franceschi, il mio papà toscano, il mio direttore sportivo fra juniores e dilettanti. Non sapevo che ci fossero. Mi hanno reso felice».
Nibali, il più è fatto?
«La strada è lunga. E mia moglie Rachele verrà, comunque, soltanto a Parigi».