Gianni Mura, la Repubblica 19/7/2014, 19 luglio 2014
L’ESTATE DI MONSIEUR NIBALI
Chi aspettava Nibali è servito, grazie. Ma è anche servito chi aspettava il grande caldo che stroncasse Nibali, l’uomo del freddo. Potrei dire che è servito anche chi voleva sapere in anticipo il nome del vincitore del Tour, ma non voglio mettere il carro davanti ai buoi e nemmeno agli squali, di cui ignoro colpevolmente le abitudini. Vanno in caccia anche quando hanno la pancia piena? Nibali sì, ed è un bel Nibali, forte di gambe ma anche di testa, capace di trasformare in pochi chilometri di salita il piano A (difesa della maglia e gestione della corsa) in piano B: io attacco, e chi s’è visto s’è visto.
S’è visto che Richie Porte ha preso una scuffia che la metà bastava. Incapace di tenere il passo del gruppo della maglia gialla quando era ancora composto da una trentina di corridori. Poi ha stentato a reggere quello caritatevole di Nieve, che lo ha scortato, distrutto sotto il peso di quasi 9’, al traguardo. Era lui il più temuto da Nibali, con il pensiero alla lunga cronometro. Adesso questo pensiero se l’è tolto.
C’è stata molta Italia in questa tappa calda oltre i 40º. Molta Italia sulla strada del Tour. Alessandro De Marchi, detto il Rosso di Buja, anche se è nato a San Daniele del Friuli, è andato in fuga fin dalla partenza. Erano in nove, c’erano anche Oss e Visconti. E’ rimasto da solo, s’è sciroppato tutto il Palaquit a buona andatura. E’ stato ripreso a 13 km dal traguardo dopo 184 in prima linea. Le lunghe fughe sono la sua specialità. Coraggio, verrà anche la volta buona.
Questa invece è la volta buona per dire che solo un incidente potrebbe togliere a Nibali la soddisfazione di vincere il Tour e di entrare in un ristretto cerchio di colleghi che hanno conquistato in carriera le tre più grandi corse a tappe: Giro, Tour e Vuelta. Trattasi di Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinault e Contador. Oppure è la volta buona per ricordare l’ultimo successo di un italiano in maglia gialla al Tour su un arrivo in salita: da Gimondi al Mont Revard (1965, ma era una cronoscalata) si salta al Coppi del ‘52: Sestriere e Puy de Dome. Sia chiaro che non paragono Nibali a nessuno di questi illustrissimi cinque. Me lo impedisce il discorso del carro davanti ai buoi, ma anche l’impossibilità di fare un paragone azzeccato. Provo a spiegarmi. Va bene che non ci sono Froome e Contador, ma questo Nibali, giorno dopo giorno, ci sta prendendo un po’ tutti di sorpresa. Deve avere imparato molto dalle batoste che ha preso, quando gli si rimproverava di sbagliare tempi e modi degli attacchi. Qui non sbaglia un colpo. Vince a Sheffield da finisseur, a La Planche des Belles Filles e quassù da scalatore, ma credo che la più impressionante dimostrazione di sicurezza e di forza l’abbia data sul pavé, pur non vincendo la tappa. In quella sera felicemente bagnata abbiamo scoperto un’altra dimensione di Nibali. E poi altre ancora. Nibali è una specie di scatola cinese.
Certamente il suo lavoro è facilitato dall’assenza di Froome e Contador, e possiamo chiederci quali e quanti scontri avremmo visto, e chi avrebbe vinto alla fine, ma nel ciclismo non si ragiona così. La realtà è che Nibali padroneggia la situazione ma non spadroneggia, anzi a volte dà l’impressione di andare a vincere perché non può fare altrimenti. Anche ieri ha chiesto a Majka e Konig di seguirlo, l’aveva già fatto con Purito Rodriguez. C’è negli atteggiamenti di Nibali una nobiltà da hidalgo e secondo me non vede l’ora di fare come Indurain: distribuzione doni, anche senza fiocco. Gli resta da sistemare Valverde, che corre con poco cervello: ha fuso la sua squadra, ma quando è stato il suo turno ha piazzato uno scattino ed è rimasto indietro su quello di Nibali. Mancavano circa 6 km al traguardo. Pinot è arrivato a cinque metri da Nibali, e spingeva un rapportone, e non ha chiuso il buco. Valverde dirà che ci ha provato. Ma s’accuccia alla ruota di Pinot e non gli dà un cambio per tutto quello che resta della salita, e poi sprinta sul traguardo. Un campione vero non si comporta così.
Torniamo a Nibali. Non si deprime quando resta senza gregari. Non fa una piega quando vanno via Majka e Konig: con tutto il rispetto, non sono pericolosi. Ma è prontissimo sulla sparata (a salve) di Valverde. E sa che una delle corse nella corsa, quella tra francesi rampanti, è una faccenda tra loro, come la maglia bianca del miglior giovane. A proposito di maglie, Nibali ha conquistato anche quella a pallini rossi del miglior scalatore, ma è pronto a cederla a Rodriguez. E ieri sulla maglia gialla non c’era il tricolore perché le maglie gialle non prevedono altri simboli.
I giornali francesi scriveranno che lo squalo si è mangiato il Tour un boccone dopo l’altro. A me pare che Nibali stia avviandosi a vincere il Tour, questo almeno si può dire, con grande eleganza e senso tattico innestati su una splendida condizione fisica. Le sue vittorie fanno capire chi è il più forte, ma non è forza bruta ne tanto meno sovrumana. I distacchi che infligge al secondo, al terzo sono distacchi umani, umanissimi, e questo forse è il lato più interessante. E’ sempre rischioso dirlo, ma sembra finito il tempo dei superuomini che rifilavano minuti di distacco ai piazzati, delle medie terribilmente alte, delle imprese incredibili. Le gesta di Vincenzo Nibali al Tour sono belle, esaltanti, ma non incredibili. E proprio per questo sono credibili. A margine, si può chiudere dicendo che un Tour che perde in pochi giorni i due protagonisti più attesi, con Nibali terzo uomo, non dimentichiamolo, poteva essere una gran lagna. Non lo è stato, finora, grazie alle credibili pedalate di questo ragazzo del Sud, che i suoi sogni non li ha tenuti nel cassetto.