Leonardo Coen, il Fatto Quotidiano 19/7/2014, 19 luglio 2014
TOUR DE FRANCE, CASA NIBALI
Un giorno ricorderanno la favola di Nibali il Messinese nel giorno fatidico del Centenario di Bartali. Trama classica, a lieto fine naturalmente. C’era una volta il Tour de France del 2014, nel giorno che assolsero Berlusconi da tutte le accuse del caso Ruby: a suo modo, una performance sportivo-giudiziaria. Successe alla tredicesima tappa, dopo tanti e tanti chilometri, e una salita, lunga, infinita. Che porta al cielo. Le Alpi, le vette intorno affollano il panorama. Ecco, il nostro piccolo grande eroe in maglia gialla pedala su quella salita. È un uomo solo al comando. I rivali hanno ceduto. Si sono arresi. L’uomo solo al comando solleva lo sguardo. L’arrivo è ormai imminente. Lo striscione del traguardo si avvicina. La folla esulta. L’emozione. Il peso della memoria. La Storia si ripete: “Devo vincere”, pensa il corridore in maglia gialla, “questo è un giorno molto particolare per me”.
L’uomo solo al comando si chiama Vincenzo Nibali. Un siciliano alla conquista della Francia a due ruote. Ha sbaragliato il gruppo. I corridori del Tour lo inseguono sparpagliati, come soldati di un esercito in rotta. La salita è quella che porta a Chamrousse, nel dipartimento dell’Isère, non lontano da Grenoble. Oltre diciotto chilometri di sofferenza sotto un sole implacabile, dopo 179 chilometri condotti a briglia sciolta e il Paraquit, colle di prima categoria - cioè assai impegnativo - per antipasto. C’è stato un altro italiano a movimentare la corsa, Alessandro De Marchi è stato ripreso giusto poco dopo l’inizio dell’ultima salita.
NIBALI aggiusta la maglia. Si prepara al trionfo di un nuovo arrivo in solitaire come dicono i francesi che hanno inventato il vocabolario del ciclismo. È il terzo successo di questo Tour dei Caduti che ha dato talvolta la sensazione di catastrofe imminente, coi suoi ritiri eccellenti. Allarga le braccia, Vincenzo, come per spiccare il volo, novello airone del ciclismo italiano. È fiero. È felice. È arrivato puntuale all’appuntamento con il mito di uno sport che è più di uno sport, è evento popolare.
Il 18 luglio del nostro ciclismo è infatti una data emblematica. Nel bene. Nel male. Il 18 luglio del 1914 nacque Gino Bartali, guerriero indomito della bicicletta, grande uomo e grande campione. Il 18 luglio del 1995 morì Fabio Casartelli, medaglia d’oro dei Giochi di Barcellona: lungo la discesa del Colle di Portet-d’Aspet perse il controllo della bici, andando a sbattere con la testa contro un paracarro. Il ciclismo, come la vita.
Deve provare, Nibali, le stesse vertigini che si provano in cima a una montagna. Ha vinto come sognava . L’altoparlante scandisce il suo nome mentre transitano i primi due inseguitori, il ceco Leopold Koenig e il polacco Rafal Majka. Nibali è in mezzo all’ambaradan che movimentano il dopocorsa. Mantiene calma e freddezza: le sue qualità agonistiche. Ha consolidato il primato: la classifica generale ora è una scultura di Giacometti. Una sottile linea scandita da distacchi che sono condanne. Lui in alto, Il resto, in fila indiana staccata a minuti. All’antica.
Parla come pedala, Nibali lo Squalo dello Stretto. Nella sua secca sobrietà riesce a dare intensità al racconto della sua tappa: “Ho sofferto enormemente il caldo. Però, più salivamo, più mi sentivo meglio. Nell’arrampicata finale, ho cercato di guardare i miei avversari, volevo innanzitutto controllare la corsa. Quando mi sono accorto che Richie Porte (il secondo in classifica, ndr) era in difficoltà, ho tentato di guadagnare secondi preziosi su lui e Alejandro Valverde. Ho accelerato per raggiungere i due corridori che erano in testa (Koenig e Majka, ndr.), staccando Valverde e il francese Thibault Pinot. Mi sono reso conto, ad un certo punto, che forse potevamo riprendermi, così ho lasciato i due”.
UNA PROVA di forza. Di carattere. D’orgoglio. Una festa italiana, dopo anni di vacche magre: Nibali maglia gialla. Nibali maglia a pois, che identifica il migliore scalatore. De Marchi numero rosso, che gratifica il corridore più combattivo della tappa. A Parigi mancano ancora 1.306 chilometri, le Alpi replicano oggi col mitico Izoard che fu trampolino di gloria per Bartali e Coppi e l’arrivo in salita a Risoul.
La settimana prossima, i Pirenei spalmati in tre tappe, più una lunga crono. Da stramazzare. Il ciclismo è questo, come diceva Bartali, “fatica e fatica”.