Maurizio Molinari, La Stampa 19/7/2014, 19 luglio 2014
GAZA, CACCIA IA TUNNEL
Da un lato un diluvio di bombe, proiettili d’artiglieria e missili, dall’altro la calma surreale di donne che fanno la spesa, uomini che bevono il tè, bambini che guidano carretti. La Striscia di Gaza è divisa in due dalla tattica militare con cui l’esercito israeliano sta conducendo l’intervento di terra.
Il confine invisibile passa a meno di 5 km dalla frontiera con Israele. Le aree urbane di Beit Lahiya e Beit Hanoun a Nord, come i quartieri orientali di Shishaya sono bersaglio dei bombardamenti, teatro delle incursioni di terra, sotto il tiro di droni, navi, tank ed elicotteri Apache. È un diluvio di fuoco «dall’aria, dal mare e ora anche da terra», come dice il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che mira ad aprire la strada alle unità di truppe speciali, Nahal, fanteria e paracadutisti che proteggono i genieri militari impegnati nella caccia ai tunnel. Sono i genieri i veri protagonisti di quanto sta avvenendo. La missione è «trovare e distruggere i tunnel che Hamas usa per le infiltrazioni terroristiche» spiega Benny Gantz, capo dello stato maggiore. Durante la prima notte di incursioni di terra i genieri ne hanno trovati almeno 7 e i parà che li difendevano hanno eliminato 15 miliziani di Hamas, arrestandone altri 13 che sono nelle mani dello Shin Bet, il servizio di sicurezza. Per comprendere come operano i genieri bisogna andare nelle retrovie, sulle strade impolverate del Negev. In mezzo a campi arati, protetti da alberi o impegnati in addestramenti, i militari mettono in mostra le armi più importanti di cui dispongono: i mega-trattori blindati D-9 e le squadre di mini-robot cerca-bunker. I D-9 sono dei giganti corazzati. L’altezza sfiora i venti metri, hanno un abitacolo da Iron Man e tenaglie metalliche in grado di muovere tonnellate di materiale. Ma ciò di cui i genieri più hanno bisogno è una sorta di trivella posteriore che assomiglia a un aratro gigante ed è in grado di arrivare a oltre 30 metri di profondità.
Megatrattori e mini-robot
Quando le truppe speciali individuano l’apertura del tunnel, sono i D-9 che - quasi sempre sotto il fuoco - intervengono per distruggerlo, seguiti da autobotti blindate con tubi protetti da cui esce l’acqua che inonda i bunker. I comandi militari sono intenzionati a setacciare ogni millimetro di terra lungo i confini di Gaza per demolire la rete di tunnel che «Hamas ha creato in alternativa ai razzi, con l’obiettivo di colpirci alle spalle» dice il portavoce Peter Lerner. Nel kibbutz di Ein Shlosha, a poche centinaia di metri dal confine, il quarantenne Dani Cohen illustra la sua casa colpita dai razzi osservando come «peggio dei Qassam è il pericolo delle incursioni che spinge molti a fuggire». Il motivo è che per difendersi dai razzi Israele ha l’Iron Dome ma le incursioni via tunnel di commandos jihadisti non hanno antidoti. L’esercito israeliano non dispone ancora della tecnologia per identificare i rumori in profondità. Da qui la presenza a fianco dei genieri di «unità di mini-robot»: guidati a distanza cercano le aperture nel terreno. Sono loro ad affiancare ovunque i genieri e fonti militari, chiedendo l’anonimato, assicurano che «fanno un ottimo lavoro».
Hamas: noi come i Vietcong
I miliziani di Hamas tentano di fermare le incursioni via terra di soldati, trattori e robot disseminando il terreno di trappole, ingaggiando scontri ravvicinati e fuggendo nei nascondigli. È in uno di questi agguati che cade il primo soldato israeliano, il sergente Eitan Barak di 20 anni, e almeno altri tre militari gravemente feriti. «Trasformeremo la vostra campagna di terra in un inferno - ripetono i portavoci di Hamas dalle radio - finirete nel fango come gli americani in Vietnam». Lo scontro di terra si limita alle fasce a ridosso del confine perché Israele è intenzionato a bonificarle dai tunnel trasformandole in zone-cuscinetto da cui poi estendere eventualmente le operazioni mentre Hamas è qui che tenta di uccidere più soldati nemici, per spingere Netanyahu a richiamare le truppe.
Famiglia distrutta
Superando il confine di Erez ci si trova sotto incessanti bombardamenti frutto di questa dinamica mentre a breve il campo profughi di Jabaliya vive in maniera surreale. Strade piene, mercati in cui si vende frutta, gruppi di persone che si incontrano, parlano e un fiume di ragazzi che vanno e vengono dalle scuole dell’Onu dove hanno trovato rifugio i profughi di Beit Lahiya e altre aree minacciate di attacchi. Nelle strade di Jabaliya, l’area più popolosa del Nord di Gaza, nessuno parla di invasione di terra israeliana. Pare di essere in un universo parallelo. «Davvero sono entrati?» chiede incredulo Bassem, 43 anni e cinque figli sul carretto, affermando di «non saperne nulla e non averne sentito parlare da nessuno». Vista da Jabaliya l’invasione deve ancora iniziare e il maggior incubo restano gli attacchi dal cielo che hanno già fatto almeno 280 vittime che, secondo fonti dell’ospedale Shifa, «in gran parte sono civili». E ieri sera, a Beit Hanoun, nel nord della Striscia, un colpo di cannone da un tank ha distrutto un’intera famiglia: tra le vittime due donne, due uomini e un bambino.
Il portiere dell’hotel Adam
La contrapposizione fra la battaglia campale in corso lungo i confini Nord e Est della Striscia e la calma apparente dei maggiori centri abitati termina quando l’orologio segna le 21. «È questa l’ora in cui gli israeliani iniziano a bombardare» afferma Mahmud, portiere dell’Hotel Adam nei pressi della spiaggia dove due giorni fa i colpi della Marina hanno ucciso quattro bambini, ferendo altre sette civili. I bombardamenti notturni scuotono l’intera Striscia perché aerei, navi e artiglieria bersagliano gli obiettivi individuati durante il giorno e approvati dai comandi. Israele ha già effettuato circa 2000 raid ma «abbiamo molti altri obiettivi da colpire» dice Gantz. Possono trovarsi ovunque perché, spiega Netanyahu «i terroristi si nascondono fra i civili» ma per gli abitanti di Gaza la verità è diversa: «Colpiscono di tutto, non solo quelli Hamas e viviamo dal terrore» assicura Samir, 23 anni, che ha fatto le elementari e si guadagna da vivere come inserviente di alcuni venditori del mercato della moschea centrale di Gaza.
Obama chiama Netanyahu
Sul fronte diplomatico Netanyahu incassa il sostegno del presidente americano Barack Obama durante una telefonata che coincide con un allarme a Tel Aviv, bersagliata ancora - come le città del Sud - da grappoli razzi. Oltre mille sono caduti su Israele in 11 giorni di combattimenti. «È così che viviamo» dice il premier al presidente, secondo il quale «Israele ha il diritto di difendersi ma bisogna limitare le vittime civili». In Giordania e Turchia montano le proteste anti-israeliane che contagiano alcuni centri della Cisgiordania. Le speranze di tregua restano appese alla mediazione di Al Sisi e agli sforzi di Abu Mazen: entrambi convinti che il cessate il fuoco possa ancora avere successo.